Femminismo islamico? Sembra un ossimoro ma in Occidente esiste

Femminismo islamico? Sembra un ossimoro ma in Occidente esiste

Luciana Capretti è una giornalista del Tg2 che per esigenze di servizio ha dovuto occuparsi di islam. Per l'esattezza, di «donne e islam». Si dichiara atea, perciò le questioni religiose poco la interessavano prima. Prima, per lei l'islam era, al più, un lontano ricordo d'infanzia: essendo nata a Tripoli, la cantilena dei muezzin le è familiare, così come le donne interamente intabarrate fino agli occhi (alcune ne lasciavano scoperto uno solo, giusto per vedere dove mettere i piedi). Come tutti, però, ha scoperto la versione meno esotica dell'islam all'indomani dell'11 settembre. Poi, via via, lo stillicidio di attentati terroristici che, in un crescendo senza fine, ha incollato e incolla - l'attenzione dell'Occidente sugli schermi televisivi. L'episodio più significativo, ai fini dell'inchiesta che la Capretti avrebbe iniziato, è però questo: «A Colonia, e in altre città della Germania, più di duemila uomini si avventavano su milleduecento donne che festeggiavano il nuovo anno». Dopo le indagini, «metà di loro circa è risultata essere di recente immigrazione. E per lo più musulmana». Scandalo, indignazione nell'opinione pubblica (occidentale). Ma... «Le donne li hanno provocati, ha sentenziato Sami Abu-Yusuf, imam della moschea salafita di Al-Tawheed a Colonia qualche giorno dopo». Le provocatrici di Capodanno «indossavano profumo e abiti succinti». E poi, altre notizie di attentati, la nascita dell'Isis, l'immigrazione incontrollata. «In questo clima di paura e di sospetto nel 2015 sull'Europa è iniziato lo tsunami dei rifugiati. In maggioranza musulmani».

È questo lo scenario in cui il Tg2 propone alla Capretti di interessarsi di islam e donne per un Dossier. Lei si interessa e scopre che in Danimarca c'è una moschea inaugurata di recente e diretta da una donna. «Una imamah, a Copenhagen, che intende formare altre imamah, che vuole condurre la preghiera del venerdì davanti a uomini e donne, che per ora non lo può fare perché gli imam più tradizionalisti della altre moschee della città hanno sollevato un gran polverone e l'hanno anche minacciata. Scopro che ci sono altre imamah come lei in altre città del mondo». E poi, ecco «la prima khatibah della moschea per donne di Los Angeles, Edina Lekovich» (khatibah è il femminile di khatib: colui che pronuncia il sermone khutbah - durante la preghiera del venerdì e che può essere persona diversa dall'imam). «Il Corano non lo vieta, mi dicono poi, il Profeta lo ha permesso». Parte da qui il libro-reportage La Jihad delle donne. Il femminismo islamico nel mondo occidentale (Salerno, pagg. 152, euro 12), che comincia col ricordare che tutto inizia proprio con una donna: la schiava egiziana Agar (Hajar per gli islamici), che concepì Ismaele da Abramo. Ismaele, capostipite degli arabi e antenato di tutti i musulmani. E se venisse proprio dal mondo musulmano - si chiede l'autrice - la spinta a superare le secolari discriminazioni nei confronti delle donne? Se questa realtà in crescita costringesse prima o poi il mondo occidentale a rivedere le proprie posizioni critiche nei confronti dell'islam? Ci sono, tra gli islamici, donne teologhe, storiche e anche attiviste che combattono la loro personale jihad per un riconoscimento pieno del ruolo femminile in un'ottica di eguaglianza in sintonia con il cambiamento.

Un cambiamento che il «contagio» con la vita occidentale dovrà prima o poi provocare almeno nell'islam che vive tra di noi. Ci sono, insomma, delle «femministe» musulmane che si ribellano a un ruolo da VII secolo. Però, vivono quasi tutte in America e in Europa.

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