Cinzia Romani
da Roma
Travolti da Travolta alla Festa di Roma. Ieri la celebrità che tutti conoscono (lo puoi ricordare per La febbre del sabato sera, per Pulp Fiction: cinquant'anni di carriera, tra cinema, teatro e tivù ed eccolo qui, sempre più iconico) si è mostrata nella sua veste più generosa e cordiale. Difficile staccarlo da fans e fotografi, impazziti per la sua camicia bianca con lo jabot, il sorriso aperto, gli occhi magnetici. Avrà pure perso la battaglia contro corpulenza e calvizie, ma la guerra della vita l'ha vinta. E nell'entusiasmante «Incontro con il Pubblico», orchestrato dal direttore artistico Antonio Monda e ritmato, lungo 9 sketch dei suoi film, dai battimano del pubblico che conosce a memoria la sua opera, l'attore 65enne, al quale la Festa ha consegnato il Premio Speciale, ha ripercorso le tappe salienti del proprio lavoro, presentando il suo nuovo film, l'horror di Fred Durst The Fanatic. Dove lui è Moose, patito di cinema ossessionato dal suo attore preferito, tanto da perseguitarlo per ottenere un incontro col suo idolo. E se, inizialmente, tale collezionista di autografi, occhialuto e con orrende camicie hawaiane, pare soltanto un fan picchiatello, gli eventi precipitano verso lo stalking. Tic e mossette non mancano, «perchè dovevo fare un uomo-bambino abbastanza tragico», spiega la star, impegnata in un tema senza tempo: l'ossessione per la celebrità, del resto, attraversa ogni epoca. Nonostante l'universalità dell'argomento, The Fanatic ha registrato un flop in America. Ma agli alti e bassi Travolta è abituato: negli Ottanta, pareva confinato in un angolo, mentre cercava di scrollarsi di dosso i personaggi da musical, che l'avevano reso famoso. Ma poi Quentin Tarantino l'ha chiamato per Pulp Fition ed è tornato velocemente in pista. «Quentin rischiò per me ed io per lui!». Mamma Travolta, attrice e regista d'origine irlandese, aveva un libro intitolato Acting is believing («Recitare è crederci») e il giovane John ne rimase folgorato: da allora ci crede, eccome.
Tra l'altro, John ha esordito nel 1975 proprio con un horror, The Devil's Rain, e l'anno successivo ha lavorato con Brian De Palma in Carrie. Tuttavia, il suo «siamo tutti un po' Moose», soprattutto nell'epoca presente, dominata dai social media, suona come un monito.
«Non temo i fan scalmanati. Io stesso sono un fan accanito. Da ragazzino adoravo Jimmy Cagney, Paul McCartney, Barbra Streisand, Marlon Brando, che era un mio grande amico. Come Liz Taylor. Non mi sento in imbarazzo nel dire che ero pazzo di queste cose.
Ce n'era un sacco, di gente che mi scombussolava. Vengo da una famiglia dello spettacolo, che non mi ha mai ostacolato nel mio amore per lo show. Anzi. E noi di casa guardavamo La strada di Fellini e i film di Sofia Loren, come Ieri, oggi e domani», racconta. Col suo look calvo, a turbare è lui: senza capelli e con la barbetta rada, piace.
Sul red carpet lo mangiano, tutti strillano e guardano lui, invece di Miss Italia. Sui social media Travolta c'è rimasto un anno, «badando bene a postar soltanto cose buffe, o divertenti. Penso che la tua storia sia migliore del tuo iPhone. Soltanto l'arte ha il potere immenso di connettere l'umanità», riflette. «Lo spirito dell'intrattenimento me l'ha inculcato mia madre: sono stato fortunato. Da lei, vera professionista, ho appreso la fiducia. M'ha dato la ricetta per essere libero, creativo», dice. Attore, ballerino e cantante, Travolta preferisce «la danza, soprattutto. Ballare mi manca molto.
Ma se volete vedermi mentre ballo il tango, andate su YouTube e godetevi la mia clip 3 to Tango, girata col mio amico Armando Perez» fa lui, accennando, con le caviglie gonfiette, qualche passo di danza.
Agile, è agile Tony Manero e viene giù l'Auditorium
quando scorrono le immagini de La febbre del sabato sera. Urlano ragazzini e signore attempate, piedi e mani vanno da soli. Fuor di retorica: si dimenano anche gli spettatori in carrozzella ed è qualcosa che fa bene al cuore.
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