Il film del weekend: "La pazza gioia"

Un'opera divertente e toccante che indaga il concetto di salute mentale e deve moltissimo alle ottime interpretazioni delle due attrici protagoniste

Il film del weekend: "La pazza gioia"

Dopo il noir "Il Capitale umano" di due anni fa, Paolo Virzì torna a firmare un film senz'altro più nelle sue corde: "La pazza gioia", una commedia amara e avventurosa, piena di dolore, pietà e umorismo.

Siamo a Villa Biondi, una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, sita nella campagna toscana. Qui risiede già da tempo, in cura, l'istrionica e megalomane Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi), sedicente contessa, quando arriva una nuova paziente, Donatella (Micaela Ramazzotti), una ragazza madre fragilissima cui è stato tolto il figlio. Le due, diversissime tra loro, iniziano a sostenersi l'un l'altra e traggono beneficio dall'inattesa frequentazione. La loro complicità avrà modo di esprimersi al massimo durante una breve fuga dalla struttura: insieme cercheranno incontri che possano riappacificarle con un passato doloroso e assaporeranno istanti di euforica libertà.

Strizzando l'occhio, nella sostanza, a pellicole come "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e "Un tram che si chiama desiderio", a livello iconografico se ne citano anche altre come "Thelma e Louise" e "Il sorpasso". Quella immortalata da Virzì, e per cui il regista sembra avere una predilezione, è un'umanità stropicciata, un po' ai margini, con tanti svantaggi ma col talento di annegare i dispiaceri in una risata, quando possibile. Indagando nella forza misteriosamente vitale di chi rimane avvolto da una sua particolare luce anche quando è messo al buio dagli eventi, il film conquista. Sarebbe facile, a una prima occhiata, definire le protagoniste come donne sbagliate, declinazioni opposte di un femminile fallito e sciagurato, eppure si riesce ad amarle perché sono ritratte al di là di ogni pregiudizio: bellissime, struggenti, buffe. La caratterizzazione delle due è accurata, tanto la prima è una chiacchierona tutta classe e sregolatezza, la seconda è uno scricciolo silenzioso e dolorante. Sono creature provate dalla convivenza con se stesse, al cui tumultuoso avvicendarsi di stati d'animo contrastanti lo spettatore è portato ad avvicinarsi in una prospettiva compassionevole. Il vero riparo contro la ferocia del mondo, per queste donne, non è l'istituto di cure ma l'empatia che si sviluppa tra le loro personalità agli antipodi, una volta specchiatesi l'una nella sofferenza psichica dell'altra. Lo strampalato senso materno della sovraeccitata Beatrice si sposa perfettamente con la necessità di Donatella di essere accudita e salvata, proprio lei che ha nell'inadeguatezza alla maternità la sua ferita aperta. Valeria Bruni Tedeschi, in particolare, mai così in forma, rende onore al suo bellissimo ruolo dandone un'interpretazione generosa e indimenticabile. (Guarda la videorecensione qui)

Tra momenti drammatici e altri buffi, il film indica come esistano relazioni pronte a risarcirci di tutto il male seminato da altre, perché ci sono tanti tipi di storie d'amore tra cui l'amicizia è forse, se non l'antidoto, almeno il balsamo con cui lenire molte ferite interiori. Sono vari gli indizi che portano il pubblico a cogliere quanto sia impreciso, oltre che ingiusto, ridurre qualcuno a un referto medico. Anche perché buona parte degli spettatori ritroverà qualcosa di familiare nelle due figure al centro de "La pazza gioia": in un mondo che di equilibrato ha ben poco, siamo ormai quasi tutti portatori di qualche latente psicopatologia.

Peccato che in un film dalle tematiche così importanti e universali, il regista non rinunci a rimarcare la propria appartenenza politica con piccole provocazioni.

Ciò detto, "La pazza gioia" rimane il frutto di uno sguardo unico, personale e profondo. Un film prezioso nel ricordarci che sentirsi importanti per qualcuno può fare la differenza in positivo più di qualsiasi cura o medicina.

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