Pochi anni fa suonavano al Bosun's Locker, un pub scalcinato nel cuore di Londra, davanti a una quarantina di persone. Oggi sono una delle band più apprezzate da pubblico e critica, definiti dai Led Zeppelin il loro gruppo preferito. Con la loro formula magica i Mumford & Sons hanno catturato il pubblico dei rockettari duri e puri conquistando al tempo stesso la palma di band di culto e di grande successo, piazzando il loro primo album Sigh No More al numero due della classifica di Billboard e lottando spalla a spalla con l'idolo dei teen ager Justin Bieber. Cose del genere accadono continuamente nel volubile carrozzone del rock, ma qui c'è qualcosa di diverso che rende la favola dei Mumford ancora più bella. Infatti i quattro ragazzi hanno dato vita a quella che già viene chiamata «nuova scena folk di West London» con un suono acustico fremente e personale che si ispira alla country music americana. Morbidi ma per nulla leziosi, aggrappati alle radici del rock, della musica popolare britannica ma soprattutto di quella d'Oltreoceano, i Mumford pubblicano in questi giorni il nuovo disco Babel, al tempo stesso grezzo e raffinato «melange» sonoro ricco di ritmo e distensione (con piccoli capolavori come Broken Crown) già servito per i piani alti delle classifiche. Eppure loro non hanno cambiato il loro sound di una virgola. Marcus Mumford, voce chitarra e mandolino; Ben Lovett (il vero fondatore del gruppo, ma poi Marcus si è rivelato il più adatto ale pubbliche relazioni) fisarmonica; Country Winston Marshall, banjo e dobro; Ted Dwane contrabbasso e chitarra (tutti e quattro si interscambiano alla batteria, e il pulsare della grancassa è un elemento distintivo dei loro brani) si definiscono sempre «la stessa band, gli stessi quattro amici, le stesse quattro persone con qualche esperienza e qualche sigaretta e birra in corpo in più».
Di solito dai pub vediamo uscire band fragorose e violente (dai primi scatenati Rolling Stones ai ruggenti punk rockers) ma raramente emerge un gruppo folk dedito - senza copiarla pedissequamente - alla musica americana dei New Lost City Ramblers o di Woody Guthrie. Suoni tradizionali ma al tempo stesso attuali, musica popolare incastonata in una prospettiva piacevolmente moderna, testi interessanti e immaginifici che citano Shakespeare, Chesterton, Steinbeck. Marcus Mumford spesso paragona il tour a una avventura di Steinbeck. «Steinbeck dice che pianificare un viaggio è come soffocarne l'essenza stessa. Non si può dire ciò che succederà. Così è la tournèe, sai in che città andrai, che salirai su un palco ma non puoi dire cosa succederà esattamente. Ogni volta è un'esperienza nuova». In America ci sono tanti gruppi che animano la scena new country o post hippie (si va da Bon Iver ai nuovissimi The Avett Brothers ai Decemberists) ma la nuova scena di West London è una anomala quanto piacevole novità. Dal Bosun's Locker sono usciti artisti come la cantautrice Laura Marling (per cui Marcus Mumford ha suonato la batteria), Noah and the Whale band di assoluto culto guidata da Charlie Fink, Kevin Jones poi bassista dei Communion, Johnny Flynn, tutti artisti che non hanno raggiunto la fama internazionale dei Mumford ma che hanno uno zoccolo duro di fan a livello internazionale. .
Parlando di quel vecchio pub ora scomparso Ben Lovett e il bassista Kevin Jones ricordano: «Era un piccolo locale in un sottopassaggio; c'era un sacco di gente di talento ed era il luogo ideale per scrivere canzoni e fare amicizie. Ha chiuso prematuramente ma è stato il trampolino di lancio per molti di noi». Il loro successo infatti è nato concerto dopo concerto, serata dopo serata. Nel 2008, quando li vide un manager della Island, li considerò insulsi e ancora immaturi. «Avevano pochi fedeli amici al seguito, e avevano bisogno di crescere. Quando li rividi sei mesi dopo avevano fan ovunque». Iniziarono così le tournèe di supporto a gruppi come Alessi's Ark, Peggy Sue, Cutaway, l'apparizione al festival di Glastonbury e i primi concerti in America e Australia. Il primo disco fu il mini cd Love Your Ground seguito finalmente da Sigh No More, che li ha consacrati presso il pubblico internazionale. Candidati al Grammy come miglior nuovo artista e per la miglior canzone (Little Lion Man) non hanno vinto alcun premio (battuti dagli Arcade Fire) ma poi si sono rifatti con gli interessi tra premi, canzoni per il cnema, dischi registrati perfino in successi, concerti con personaggi come Bob Dylan. Oggi sono più famosi in Usa che in Inghilterra, tanto che è appena uscito anche il flm Big Easy Express, cronaca di un concerto tenuto su un treno in corsa per le sterminate lande americane insieme a Edward Sharp & The Magnetic Zeros e gli Old Crown Medicine Show.
Il segreto del loro successo lo sintetizza il critico David Smyth: «Sia che uno pensi che siano autentici o no, c'è un'aura di autenticità intorno a loro. E si sente che sono autentici rispetto alla media dei brani da classifica, piene di voci fasulle e di brani r'n'b superprodotti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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