È il Kurt Cobain più intimo e fragile quello che viene fuori dagli straordinari 131 minuti del documentario di Brett Morgen dal titolo Cobain: Montage of Heck che uscirà nelle sale italiane come evento per solo due giorni, il 28 e il 29 aprile. Il leader dei Nirvana come non lo si era mai visto. E stavolta non è il luogo comune per eccellenza di alcuni documentari biografici. Perché il film, coprodotto da HBO e da Universal Pictures International che lo distribuisce, ha avuto l'approvazione e il sostegno della famiglia di Cobain, a partire dalla figlia Frances Bean che è anche produttrice esecutiva.
«C'erano oltre 200 ore di musica e registrazioni mai pubblicate, un vasto insieme di progetti artistici, un patrimonio di filmini e oltre 4000 pagine di diario, che nel complesso hanno concesso una nuova prospettiva su un artista profondo e prolifico che raramente ha potuto raccontarsi ai media» dice il regista che ha mutuato il titolo del suo film da un «collage sonoro» risalente al 1988 che lo stesso Cobain chiamò Montage of Heck . Che è diventato il canovaccio su cui si dipana la storia breve, come il secolo a cui è appartenuto, di Kurt Cobain. La sua vita poi nel documentario si anima, letteralmente, anche attraverso i disegni di Stefan Nadelman e Hisko Hulsing. Da appena nato ad Aberdeen (Washington), con le testimonianze di madre e padre, fino alla fine, alla pallottola con cui si è suicidato. Aveva 27 anni, vissuti pericolosamente per l'utilizzo delle droghe, fallaci medicamenti di un'anima tormentata. Non solo nella mente, ma anche nel fisico provato da un male allo stomaco che l'ha sempre accompagnato: «Ho paura, se mi passa, di non essere più creativo», scherzava, ma non troppo, l'autore di Smells Like Teen Spirit , canzone diventata l'inno delle cosiddetta Generazione X consentendo ai Nirvana di trasformarsi in una delle band di maggiore successo a cavallo tra gli anni '80 e '90 con più di 75 milioni di dischi venduti.
«Meglio non avere il cervello di un genio», confessa ora la mamma il cui divorzio dal padre è stato per Kurt un vero e proprio trauma. Anche perché a sette anni è finito sballottato tra zii, nonni ma non il padre che, freddo, ricorda il figlio quasi come un utensile: «La madre non era in grado di gestirlo e allora lo presi io. Ma dopo un paio di settimane tutti lo volevano cacciare». «Tutti vogliono essere accettati», sono invece le parole che Cobain pronuncerà qualche anno dopo mentre ascoltiamo le note di una sua versione meravigliosa - solo voce e chitarra - di And I Love Her dei Beatles. La sua disperata ricerca di amore alla fine si concretizza nella cantante che ha voluto quella parola nel proprio cognome d'arte, Courtney Love, in una relazione che ha fatto la gioia dei media di tutto il mondo.
Il film si concentra in particolare su Vanity Fair statunitense che rivelò che la cantante, quando era incinta, faceva ancora uso di eroina. Sulla base di questo articolo i servizi sociali tolsero la figlia per qualche giorno ai genitori poi obbligati a effettuare le analisi del sangue. Certo, accanto alla coppia amorevole verso la figlia che vediamo nei filmati inediti, il documentario non può non mostrare la spirale della droga in cui tutti e due erano caduti. Con la differenza che oggi Courtney Love ne può parlare mentre Kurt Cobain vive solo attraverso la sua musica.
Esattamente dal 5 aprile del 1994, giorno del suo suicidio, un mese dopo averlo probabilmente tentato a Roma quando Courtney Love lo trovò in overdose in una stanza all'Excelsior. Aveva 27 anni, «la stessa età in cui sono morti Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse», come ricorda lo scrittore tedesco Marcel Feige nel libro Il romanzo di Kurt Cobain appena tradotto da Edizioni Sonda.
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