Fragili, ironici e ribelli. Che sodalizio con Troisi

Si conobbero in tv e raccontarono una Napoli moderna e creativa ma al tempo stesso indolente. Li unì la debolezza fisica e la sensibilità

Fragili, ironici e ribelli. Che sodalizio con Troisi

Massimo Troisi e Giuliana De Sio, un letto. Il film è Scusate il ritardo , diretto da Troisi stesso. Napoli-Cesena 1-2, Tutto il calcio minuto per minuto acceso con goffa nonchalance da lui, dopo aver fatto l'amore. Lei sta male, lui non capisce. Poi pensa che è per il Napoli che perde e le dice per consolarla «vabbuò ma tanto è il primo tempo può essere che pareggiamo». Scena mitica, geniale, esilarante e tenera. E viene in mente proprio questa, ora che Pino Daniele è morto. A neanche 48 ore da un Cesena-Napoli. Che non vedrà il lutto al braccio per gli azzurri, che per ricordarlo aspetteranno Napoli-Juventus dell'undici gennaio, come annunciato da Aurelio De Laurentiis. Buffo destino quello del presidente partenopeo che da produttore credette in lui nel lontano 1978 (gli affidò le musiche del suo film La mazzetta ) e da dirigente sportivo ha eliminato dal prepartita la sua Napule è , vero e proprio inno della squadra.

Inevitabile metter vicini Pino Daniele e Massimo Troisi. Perché erano amici, è vero. Quando , canzone meravigliosa, la scrisse l'attore e regista (era una delle sue tante poesie, un'altra 'O ssaje comme fà 'o core non finì in un film, ma in tv grazie al sodale di entrambi Gianni Minà), la musicò il cantautore. E ad ascoltarla, quella canzone, destinata a Pensavo fosse amore invece era un calesse - pellicola sottovalutata e bellissima, anche per quelle note -, si capisce che racconta un amore. E lo era il loro, al di là dell'affinità elettiva, era un legame fraterno.

La fragilità fisica e la sensibilità artistica, forse, li avevano avvicinati, ma era la loro napoletanità a unirli, anzi una visione napoletana e internazionale di intendere la vita, il cinema, la musica, l'arte, la società. Avevano avuto entrambi problemi con la Lega Nord. Massimo, sempre dopo il primo tricolore della squadra del cuore, riguardo ai commenti e agli striscioni razzisti che recitavano «benvenuti in Italia, campioni del Nord Africa» disse a Minà «meglio campioni del Nord Africa che scrivere cose da Sud Africa» (l'apartheid non era ancora stato abolito, era il 1987). Pino dentro O' scarrafone piazzò il verso: «Questa Lega è una vergogna» e a Bossi non la mandò mai a dire.

Sentivano un profondo legame con una città da cui però entrambi sono andati via. Forse per continuare ad amarla, forse per raccontarla meglio. Si conobbero in una puntata di No Stop , in tv. «Sembravamo conoscerci da sempre», raccontò il bluesman. E quando l'amico se ne andò, più di 20 anni fa, a soli 41 anni, disse «condividevamo tutto, vedevamo le cose alla stessa maniera». Ecco perché, sorta di Woody Allen del golfo, potevano scherzare su Napoli e i napoletani come nessuno avrebbe potuto fare. La scena di Troisi dello sfogo sul napoletano che può fare solo l'emigrante e non anche il turista, fuori dalla sua città, in Ricomincio da Tre , ne è uno splendido esempio. La colonna sonora, neanche a dirlo, era di Pino Daniele. Che quattro anni prima, con una canzone apparentemente disimpegnata, 'Na tazzulella 'e café , riuscì a raccontare l'indolenza partenopea, quell'arguta e feconda pigrizia, come pochi altri. L'unicità e la ribellione, anche a se stessa, di una comunità. Erano amici, cuori fragili e grandi, alfieri di una Napoli che usciva fuori dagli stereotipi. Loro hanno saputo tirar per la collottola una città quando non aveva punti di riferimento. Ostaggio di una bellezza struggente, di un patrimonio musicale, cinematografico e teatrale iconico e antico. Eduardo e Totò, Murolo e Bruni, Massimo Ranieri. La modernità, sotto il Maschio Angioino, non aveva posto tra la fine degli anni Settanta e l'inizio dell'Ottanta.

Poi arrivano quei due. Pino Daniele, che al porto dove lavorava suo papà, ha suonato per gli americani. Ed ecco il blues, il soul, persino il rap a guardar bene certi testi e certe melodie. Arriva quello che torna, in un momento, a far sentire Napoli una capitale e il napoletano cittadino del mondo. E che la rende ora piazza artistica di prim'ordine: sono tutti figli suoi, i contaminatori di oggi e di ieri. Non è mai stato l'artista partenopeo che si rinchiude nel suo ghetto tra Vesuvio e mare, ma l'uomo che non si stanca di andare oltre. Ha cantato soprattutto in italiano, Pino, e comunque anche quando ha scelto il dialetto, voleva farsi capire. Anche fuori dai nostri confini, lui si sentiva un artista napoletano. E Massimo? Idem. A volte non lo si capiva, ma lui è arrivato fino agli Oscar. Eppure più partenopeo di lui non lo immagini. Rifiutavano entrambi le facili cartoline. Je so' pazzo è un inno generazionale, ancora oggi. Napule è la fotografia impietosa e dolcissima di una culla di bellezza violentata. È stato cantante di protesta e pop, blues e rock. I film di Troisi sono un tributo a quell'uomo, figlio della post ideologia, che cantava l'amico. Uno musicava le poesie dell'altro. C'è qualcosa di più alto? C'è qualcosa di più napoletano? E forse non è un caso che dopo l'addio del cineasta, il cantautore non abbia saputo più essere alla propria altezza. Mancava l'ispirazione reciproca, la lingua che parlavano solo loro. Una Napoli reinventata, moderna, illuminata.

Mai pronta a una fatalistica condiscendenza verso i propri difetti, ma a un'ironica voglia di rivoluzione. Etica ed estetica. Ora, forse, Le vie del Signore sono finite . Sì, anche lì erano insieme: Pino alle musiche, Massimo alla macchina da presa.

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