Quant'è bella giovinezza dei nativi digitali, con la fortuna di avere una vita davanti, però che peccato che la più parte di essi viva in un eterno presente ignorando le cose belle del passato, come ad esempio le maschere senza tempo di Franco e Ciccio - Franco Franchi (Francesco Benenato, 1928-92) e Francesco Ingrassia (1922-2003) - cantrici di una comicità che entrava dritta nel cuore della gente. Il centenario della nascita di Ingrassia, il 5 ottobre, è una scusa ghiotta per rimeditare sui due «inguaiatori» del cinema italiano. Andrea Pergolari e Alberto Pallotta, autori di Franco e Ciccio. Storia di due antieroi (Ed. Sagoma), raccontano i due palermitani doviziosamente. Per quanto concerne Ciccio, dopo una licenza elementare conquistata occupandosi delle faccende domestiche del maestro, e un ginnasio cui si iscrisse solo perché il regime regalava una bella divisa a chi investiva sulla formazione, dovendo poi scegliere fra l'umile (ma sicuro) mestiere di tagliatore di tomaie e l'ambiziosa (ma insicura) febbre da palcoscenico, optò per la seconda, con l'annessa precarietà della gavetta. Franco, da par suo, nacque in vicolo delle Api per poi spostarsi, coi genitori e un numero abnorme di fratelli e sorelle, a via Terra delle Mosche. «Mancava solo Piazza Zanzara», ironizzò una volta Franchi, con Ciccio che puntualizzava «sì, all'angolo con via Scarafaggi».
Male in arnese entrambi, un bel dì i loro percorsi si incrociarono. Funzionarono subito, dapprima nell'avanspettacolo e poi, in un crescendo, venne l'incontro con Modugno che li valorizzò a teatro e l'ascesa incontrollata nel cinema, in quei film che erano tutto un programma fin dal titolo (Per un pugno nell'occhio, I barbieri di Sicilia, Farfallon e via parodiando).
Ritmi di lavoro che avrebbero accoppato un elefante e
difatti, dopo un decennio forsennato, la coppia scoppiò: Franco, dopo la rottura, spostò a Zagarolo il tango parigino di Bertolucci e Ciccio, non meno giocherellone, seppellì con la risata de L'esorciccio il cinema del terrore.
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