"Il vero comico ride dei politici, ma non li fa sanguinare"

Renzo Arbore lancia il suo canale web: "L'Auditel è un totem da adorare. Io rivoglio l'indice di gradimento"

"Il vero comico ride dei politici, ma non li fa sanguinare"

«L'altro giorno uno coll'aria stralunata mi ferma per strada e mi fa: “Ehi, Renzo! Ti ho visto stanotte alle quattro!”. E io, che non me lo ricordavo, penso: “Ho proprio raggiunto l'età della senescenza”». Dove diamine ero stanotte alle quattro?». Ma poi Renzo Arbore ha capito. L'«incontro» era avvenuto davanti allo schermo di Raiuno, su cui ogni sabato notte tornano le puntate anno 1985 di Quelli della notte e Indietro tutta. «Ma quasi a mia insaputa - si lamenta Arbore -. Infatti nessuno mi ha chiesto il permesso. Forse perché a quell'ora non pagano i diritti d'autore. Eppure almeno informarmi sarebbe stato carino».

A sua insaputa ma con soddisfazione. Trent'anni dopo i suoi programmi funzionano ancora.
«Ah sì, sì: credo siano i più replicati dell'intera storia catodica. Il che conferma che la nostra era una tv “a lunga conservazione”: sganciata dall'attualità, replicabile all'infinito. Mentre quella di oggi è usa e getta: nutrita delle caducità quotidiane, tre giorni dopo ha già raggiunto la data di scadenza».

E il successo di queste repliche da cosa dipende? Da una qualità inossidabile, o dall'effetto nostalgia?
«Dal rimpianto per una qualità che, forse, è perduta per sempre».

Non funzionerebbe, oggi, una tv «a lunga conservazione»?
«Funzionerebbe. Ma è improponibile. Nel 1985 esistevano due modelli: il Drive In di Antonio Ricci, tutto scritto fino alle virgole, e Quelli della notte, tutto improvvisato. Il modello-Ricci ha generato la tv che c'è ora (nel bene come nel male). Il nostro non ha avuto eredi. Nessuno è più capace di creare al momento, e a quel modo. Sono rimasti solo grandi talenti isolati. Anche se che talenti! Benigni, Troisi, Frassica...».

E che capacità profetiche! Molte delle cose su cui voi ironizzavate, distorcendole, poi sono divenute realtà.
«Purtroppo. Scherzavamo sulle “ragazze coccodè”, e oggi lo schermo è intasato di stupidelle sculettanti. Satireggiavamo l'invadenza del Cacao Meravigliao e ora siamo ostaggio della pubblicità. Sbeffeggiavamo i programmi di cucina e ora si spignatta in tutte le salse. L'Auditel è un totem proposto all'adorazione generale, davanti al quali s'inginocchiano perfino molti intellettuali. Ridateci l'indice di gradimento!».

Ma cosa guarda, lei, della tv dell'Auditel? Lei è un buongustaio: forse segue i programmi di cucina?
«Li evito accuratamente. Figurarsi: io amo le cose semplici, e tutti quegli intrugli... Da indigestione».

Ma lei è anche un musicista. Che ne pensa dei talent show?
«Non mi dispiacciono. Se non altro premiano il merito, e hanno spinto nel cantuccio i reality, dove invece trionfava l'inettitudine. Lì meno sapevi fare più ti applaudivano. Qui, invece, mi divertono quelli rivelatisi personaggi senza preavviso: Morgan, Elio, Rudy Zerbi.».

E il suo sense of humor? Lo coltiva forse coi programmi di satira?
«Oh, a me fanno ridere le scemenze! Mai fatto satira politica in Quelli della notte o Indietro tutta. Si pigliavamo in giro Fanfani o Malagodi, ma sulle cretinate, senza farli sanguinare. La nostra era comicità “su” di loro, e non “contro”. Mentre oggi, per far ridere, devi avercela con qualcuno. E devi fargli pure male».

Insomma la tv non fa più per Renzo Arbore.
«Ma la rete si. Per questo sto sperimentando un mio canale, il Renzo Arbore Channel Tv. Sento molto la responsabilità di far conoscere ai giovani i grandi del passato come Totò, Aldo Fabrizi, la Magnani. Loro sono i nostri maestri. E se ai giovani non li additiamo noi, che li abbiamo conosciuti, chi lo farà?».

Un po' la stessa missione della sua Orchestra Italiana.
«Proprio così.

Recuperando e riproponendo la canzone napoletana, che è la più grande del mondo, cerco di dimostrare agli snob (che considerano la canzonetta solo un sottogenere) la sua grande qualità culturale. Modugno, Jannacci, Battisti, Dalla, De Andrè non sono dei canzonettari del passato. Sono poeti di sempre».

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