La Germania in ginocchio Il lato oscuro della vittoria

A partire dal Memorandum di Darmstadt un saggio svela le violenze degli Alleati sui tedeschi sconfitti

La Germania in ginocchio Il lato oscuro della vittoria

Guardare il lato più scomodo delle violenze della Seconda guerra mondiale. A ottant'anni da quel tremendo conflitto si può anche fare. E il lato più indigeribile delle brutalità commesse sono le violenze perpetrate dagli Alleati, cioè dalle forze armate che hanno riportato la democrazia in Europa. Il debito che noi abbiamo verso chi ha sconfitto l'Asse è enorme, eppure lo storico deve poter guardare anche a tutti i limiti, e alle violenze, che furono connessi durante la lunga campagna che sgominò il nazismo.

Una parte di quegli eventi, negli ultimi anni, ha iniziato a essere esaminata con più onestà. Facciamo due esempi. La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati 1940-1945 di Jörg Friedrich (Mondadori, 2004) o Dresda di Frederick Taylor (sempre Mondadori, 2005) danno un'idea molto precisa di quanto i bombardamenti a tappeto sulla Germania avessero come bersaglio preciso i civili e quanto fossero studiati per massimizzare il danno sulla popolazione. Si è anche scritto molto, e ripubblicato, su quanto l'occupazione dei territori tedeschi, da parte dell'Armata rossa, sia stata causa di violenze indiscriminate. I territori della Germania orientale, la stessa Berlino occupata, sono stati sottoposti ad un'ondata di stupri, saccheggi e omicidi, di cui resta difficile avere un conteggio definitivo ma è ormai chiarita l'entità devastante. Per quanto si possa considerare una narrazione «di parte» La grande fuga. Il massacro dei tedeschi orientali di Jürgen Torwald, pubblicato nel 2016 da Oaks, contiene riferimenti dati e fatti che difficilmente possono essere smentiti. Ed è solo un esempio dei testi che progressivamente ci stanno svelando situazioni di questo tipo: per il contesto italiano non si può non citare La colpa dei vincitori. Viaggio nei crimini dell'esercito di liberazione (Piemme, 2018), il reportage vergato dalla giornalista francese di origine italiana Eliane Patriarca che ha visitato, parlando con testimoni e storici locali, i luoghi in cui avvennero le così dette «marocchinate».

Ora a questi volumi si aggiunge 1945 Germania anno zero. Atrocità e crimini di guerra alleati nel «Memorandum di Darmstadt» a cura di Massimo Lucioli (Italia storica, pagg. 550, euro 36, con un notevole apparato fotografico a cura di Andrea Lombardi). Il cuore del volume è la corposa raccolta di materiale documentario che venne accumulato nel campo di internamento americano numero 91 a Darmstadt. Dentro il campo, che ospitò sino a 24mila prigionieri, venne costituito, su richiesta del collegio difensivo degli imputati al processo di Norimberga, un pool segreto di avvocati (scelti tra gli internati). A loro sei mila testimoni fornirono dichiarazioni giurate sulle violazioni delle leggi e delle regole di guerra da parte degli Alleati. Si trattava anche in questo caso di un memoriale di parte; avrebbe dovuto essere letto da Hermann Göring al tribunale nel suo discorso di chiusura il 5 luglio 1946, ma l'enorme quantitativo di testimonianze mette ben in luce tutte le situazioni in cui le regole di guerra e sul trattamento dei prigionieri sono state infrante, persino con la connivenza, o il diretto intervento, degli alti comandi alleati. E sono testimonianze riscontrabili: collimano infatti con i dati raccolti nei saggi del funzionario ONU, esperto di diritto umanitario, Alfred M. de Zayas e dello storico Franz W. Seidler dell'Università Bundeswehr di Monaco. Altre testimonianze sono state verificate dallo stesso Massimo Lucioli nell'archivio online del dipartimento Personenbezogene Auskünft di Berlino-Reinickendorf (con schede su milioni di caduti tedeschi).

Il volume è particolarmente interessante soprattutto per quanto riguarda il comportamento delle truppe americane, normalmente considerate molto meno violente di quelle sovietiche. Ne esce un quadro crudissimo. Nel centro per gli interrogatori di Hersfeld, ad esempio, secondo i testimoni gli americani usavano sistemi degni delle SS. Un prigioniero «viene picchiato con manganelli di gomma e sbarre d'acciaio e, dopo essere crollato sotto i colpi, viene preso a calci nei genitali». Un prigioniero massacrato di botte chiede che gli sparino: «Potrebbe andarti bene, bastardo nazista, ma sarebbe troppo breve».

Gli episodi sono numerosissimi e vanno inseriti all'interno di una violenza che era stata sistematicamente alimentata dagli alti comandi. Nel libro si tparla anche dell'ordine emesso da Eisenhower il 10 marzo 1945 con cui i prigionieri tedeschi venivano classificati come Disarmed Enemy Forces, perdendo il loro status di prigionieri di guerra: in tal modo venne aggirata la convenzione di Ginevra. Nella gestione dei campi di prigionia non venne dedicato nessuno sforzo per rendere le condizioni di detenzioni più umane. Racconta un testimone (è soltanto un altro esempio) parlando del campo di transito di Helfta: «Senza alcuna protezione contro il vento e le intemperie, i prigionieri sono esposti alle scottature solari durante il giorno e al gelo di notte perché la maggior parte di loro non ha né coperte né cappotti».

Ovviamente questi crimini non minimizzano in alcun modo i precedenti crimini commessi dai nazisti,

ma non è più pensabile tacerli e non prenderne atto. A Norimberga il memorandum non arrivò mai, venne occultato e se ne salvò solo una copia. Quando i vincitori processano i vinti le regole del diritto faticano a reggere.

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