Giovani, carini e mosci. L'arte diventa educata

I nati negli anni Settanta e Ottanta scivolano nel decorativo: non danno fastidio a nessuno e si vendono bene. Ma che noia

Giovani, carini e mosci. L'arte diventa educata

In un testo raccolto nell'antologia Musica celestiale (Bompiani) lo scrittore americano Rick Moody si dichiara apertamente contro il cool: «Un certo libro o disco o film o fenomeno di moda, fino a questo momento cool, diventa ben presto insignificante nell'inesorabile marcia del tempo». Sforzandosi di rintracciare l'etimologia del termine fin dal Rinascimento inglese, passando per il jazz e la beat generation, alla fine conclude che si tratta di un inevitabile grugnito d'assenso. A maggior ragione quando si parla di arte la coolness è qualcosa di davvero imprescindibile. È esporre in certe gallerie, lavorare con alcuni critici e curatori, occupare spazi indipendenti o temporanei, entrare nel circuito giusto di determinati collezionisti. Questo atteggiamento, almeno in Italia, è successivo al post sbornia di Arte Povera e Transavanguardia.

Dalla seconda metà degli anni '80, quando in molti si sono accorti che la festa era finita, si è fatto largo un interessante meccanismo retto su «l'unione fa la forza», proprio perché si pensava che andar compatti avrebbe garantito un maggior potere contrattuale. E invece non è stato così, e pur essendosi verificate soprattutto negli anni '90 diverse esperienze di buon impatto, nessuna di queste ha resistito. Si parlava ancora di politica, di estetica, talvolta del sesso degli angeli, e tale idea di coesione passava attraverso oggetti artistici spuri, ibridi, complessi, contraddittori. Poi è stato il tempo dell'individualismo, la progressiva riduzione numerica di significativi artisti italiani, schiacciata tra l'apoteosi delle rockstar (Cattelan e Vezzoli) e la solita condizione di eterna promessa, via una eccone un'altra.

E oggi? Per certi versi si fa fatica a capire quale sia la direzione del contemporaneo più attuale, e questo non vuole essere un richiamo alla nostalgia del passato, bensì alla consapevolezza che il tempo scorre per tutti e che forse gli strumenti per afferrare la realtà non sono più gli stessi di ieri. Un episodio merita di essere raccontato: visito per la seconda volta Ennesima, la bella mostra curata da Vincenzo De Bellis in Triennale, con un gruppo di studenti dell'Accademia Albertina di Torino. Nel percorso incontriamo per caso Liliana Moro, che esattamente venticinque anni fa fu protagonista della realtà indipendente via Lazzaro Palazzi. Ci racconta come andò, quali furono i presupposti per costruire una propria identità: i ragazzi sono molto interessati, qualcuno addirittura emozionato.

Poi ci confrontiamo con gli artisti del 2015, i loro fratelli maggiori insomma. Una dozzina di opere tutte decisamente cool, scelte con grande attenzione tra le realtà emergenti, dove per prima cosa si respira un'aria di buona educazione. Tele centinate che citano il minimalismo nella versione Ikea (Santo Tolone); pittura astratta senza dipingere, realizzata con materiali di scarto, che fanno pensare a Daniel Buren, l'inventore del decorativismo ambientale geometrico (Alek O); sculture stanche, afflosciate su se stesse, dove la scelta del cemento armato determina la rinuncia alla monumentalità plastica (Luca Monterastelli, già invitato allo scorso Padiglione Italia); e poi disegni a matita di volti, molto eleganti e un po' scolastici (Andrea Romano).

Gli studenti si trovano a proprio agio con queste opere, si capisce che è materia loro, ma a nessuno si scalda il cuore.Cosa ci dicono questi giovani, nati nei '70 e negli '80, che rappresentano le nuove tendenze dell'arte italiana di oggi (e altri ce ne sarebbero di significativi, come il torinese Erik Saglia e le sue superfici pittoriche in nastro adesivo)? Innanzi tutto sono molto educati. Non se la prendono con nessuno, non hanno nemici, hanno tutti (almeno i maschi) barba e baffi scolpiti come gli hipster più modaioli, si vestono con attenzione al dettaglio, non teorizzano, elaborano degli unicum che presto potrebbero sostituire con qualcosa d'altro (o essere cambiati loro, da qualcun altro).La loro arte è molto gradevole, formale e inoffensiva. Assomiglia al risvoltino dei pantaloni sempre un po' corti alla caviglia.

Non si può non averlo, chi ormai indosserebbe un jeans largo e slabbrato? Gli americani hanno un modo molto efficace di definire queste opere: very nice. È l'arte del carino che si insinua, un'eleganza casual che sta bene con tutto, pulita, ordinata e di indubbio buon gusto. Se cercavi altro, ripassare più tardi ma non so quando.

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