È lui stesso che sbandiera, con voce di chi voleva fare l'attore, di essere arrivato a Roma profugo da Fiume. Da quella remota ora la sua piccola Patria è una baracca sulla via Flaminia, cento metri dopo piazza del Popolo, cinquecento prima Valle Giulia e la Galleria d'Arte Moderna dove, appunto, Valentino Zeichen ambienta il suo romanzo da gioventù bruciata: La sumera (Fazi, pag. 155, euro 16).Pochi sanno che Zeichen non è il suo vero cognome (né Valentino il nome), allora quando ci ritroviamo il venerdì al Ristorante La campana, insieme a Luigi Ontani, oltre a disprezzare il cibo imbalsamato (ci si torna per snobismo, non per mangiare bene) e a sfottere il cameriere che dà del «sor poeta» a Valentino, «sor maestro» al gelido e sornione viaggiatore indiano Luigi (mentre il sottoscritto non è vezzeggiato, giacché il sottoscritto lo guarda con sguardo criminale), sempre il sottoscritto dice sicuro al poeta neo Marziale Zeichen, che quella pronuncia in a di e è nata nella luce di Roma, non viene dall'est, anche se nel romanzo La sumera, la luce che vi abita non è affatto romana bensì fiumana e istriana.Questo romanzo da autobiografia velata quanto il volto della Duse nello studio del Vate, propone la leggenda della giovinezza eterna in spregio dell'«orrida vecchiezza» (Gozzano). Leggenda ironica e pugnace quanto l'orgoglio e la ribellione, che ci fa dire «l'opera d'arte è la giovinezza». Ecco, dunque, perché Zeichen rimuove la sua vita (quella passata, cantata nelle poesie di Area di rigore e Ricreazione, e quella che verrà) e spinge ancora nelle trattorie, nei salotti, nelle lunghe camminate, nei digiuni, quando ripete che «le scarpe vanno ingrassate con la sugna», sul tema leggendario della giovinezza «che può stare solo al cinema, impressa soltanto sulla pellicola, altrimenti muore. E con essa l'ironia, giacché sono i giorni che passano a farci vivere la tragedia».La sumera racconta le gesta inutili e bruciate di Ivo, Paolo, Mario e Lei. Artisti e rimorchiatori e playboy dalla parola sofisticata, dalle conversazioni da copione cinematografico (quindi asessuati si veda il bellissimo brano d'amore e inetti all'aggancio) all'interno di uno scenario scultoreo, modernista eppure rigido e disciplinato come un orfanotrofio da impero austriaco, epperò con la testa carica delle musichette che si cantavano a Budapest, ai tempi dei Ragazzi della via Pal. Infatti, Ivo su tutti ricorda uno dei soldati della Camicie Rosse dell'Orto Botanico, comandate da Franco Ats.La storia de La sumera è solo mentale. Ripeto, brucia la sua giovinezza per restare giovane. Al confronto I vitelloni e La dolce vita sembrano scatole di ciarpame colme di tragicommedia come chi, in fondo, pretende il futuro. Ma Valentino Zeichen ha mandato a memoria gli insegnamenti di Fitzgerald (sempre nel passato, congelati nella malinconia del passato, antidoto alla corruzione del tempo), rispetto al vitalista Hemingway (il futuro, il futuro, fino alla tragedia del suicidio). Ivo stesso è un'opera d'arte. E Lei rassomiglia tanto a Anna Karina di Godard, come il montaggio del romanzo è godardiano. Quanto è vintage, quanto è radiocronaca, costruzione a collage impeccabile...Ma una immagine ha preso in consegna il tutto: Il soldatino di piombo (la fiaba di Andersen nella quale si racconta che il bambino, tirando fuori i soldatini dalla scatola, ne rinviene uno mutilato di una gamba). Ebbene, l'arto mancate al soldatino, Zeichen lo infila nel romanzo dilatando quella piccola gamba d'infanzia tragica e sotterrata, in quadri analitici dopo i clamori degli astrattisti, dei Forma 1, dell'azzeramento della pittura di Manzoni, Castellani, Bonalumi.
Sembra che le pagine de La sumera si aprano come tele nuovamente umettate dal colore o dalle linee di un Verna, di un Cotani, di un Griffa, di un Aricò. E scintillino come un alluminio di Getulio Alviani. Ma attenzione, proprio la gioventù bruciata conserva i talenti migliori di ogni generazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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