La fotografavano, spesso, di profilo, posizionata accanto a sculture elleniche per esaltare, ancora di più, quel suo tratto mediterraneo che rappresentava una sorta di «purezza», una precisa identità che sembrava ereditata dall'Antica Grecia. Carnagione, occhi, naso, bocca: tutto, ogni volta, ci ricordava che Irene Papas, morta ieri all'età di 96 anni, di quella cultura mediterranea è sempre stata la portavoce, quasi incarnando la forza della tragedia greca di cui è stata inimitabile interprete. Inevitabili le foto in copertina che si moltiplicavano. Una bellezza che, in un certo senso, l'Italia esaltò, negli anni Cinquanta, finendo per mortificarne, però, in quel periodo, il talento. Tra il 1953 e il 1954, infatti, la vediamo apparire in Totò, Peppino e... una di quelle, nel ruolo della soubrette Clara in Vortice e della moglie fedifraga Luisa ne Le infedeli (diretta da Monicelli e Steno). Un «dazio» che in tante hanno pagato per tutta la carriera, ma non lei, troppo intelligente e, soprattutto, brava per restare confinata nel ruolo etichettato della bellona greca.
Perché, come tante, aveva il palcoscenico nel suo destino. A 15 anni era stata iscritta alla scuola di arte drammatica dai genitori (papà insegnava dramma classico e anche la mamma era insegnante). È ad Atene che, alternandolo al canto e al ballo, si forma sui classici greci, la sua passione e cavallo di battaglia artistico. Già da giovane, Irene Lelekou (diventerà Papas nel 1947, sposando l'attore e regista Alkis Papas, dal quale divorziò nel '51, ma mantenendo sempre il cognome), a teatro aveva dato il volto a tutte le principali eroine tragiche, come Elettra o Medea, fino a quando la settima arte iniziò ad interessarsi di lei. Si diceva di Alkis Papas, ma, a proposito di grandi amori, il suo è stato, senza ombra di dubbio, Marlon Brando: «Non ho mai amato un uomo come ho amato Marlon. È stato la grande passione della mia vita, in assoluto l'uomo a cui tenevo di più e anche quello che stimavo di più, due cose che generalmente sono difficili da conciliare», aveva confessato.
Anche Hollywood inizia ad interessarsi della bravura e del fascino di quella incarnazione di un'eroina classica. Esordì, negli Usa, nel ruolo di Jocasta Constantine nel western La legge del capestro (1956), recitando con James Cagney. Interpreta, tra gli altri, anche il bellissimo I cannoni di Navarone (1961), nel ruolo di Maria Pappadimos, film che vinse l'Oscar. La Papas, di premi, ne ha vinti diversi nella sua carriera, ma, probabilmente, non in maniera proporzionale al suo talento. Grazie anche al successo in patria con Elettra (1962) di Michael Cacoyannis, la sua carriera ha una seconda giovinezza, culminata con l'immortale Zorba il greco (1964), con Anthony Quinn, film amato in ogni latitudine e che «sdogana», nel mondo, la danza nazionale greca, il sirtaki. Ruolo per il quale, però, prese solo poco più di 10mila dollari. Dopo due anni di pausa, torna alla grande in quello che è stato, forse, il suo massimo momento artistico, come attrice. Da A ciascuno il suo, diretto da Elio Petri a, soprattutto, la Penelope dell'Odissea televisiva, lo sceneggiato Rai che l'ha fatta amare dall'Italia intera e di cui leggete qua sotto. Nel 1969 è la grande protagonista di Z L'orgia del potere, il thriller politico di Costa Gavras, vincitore dell'Oscar al miglior film straniero e del Premio della giuria al Festival di Cannes.
In quel momento, la Papas si era rifugiata in Italia, in opposizione alla Dittatura dei Colonnelli, contro la quale è sempre stata fiera oppositrice, scrivendo anche un appello per la lotta contro «la banda degli stupidi che ha fatto tornare il nazismo in Grecia».
La sua filmografia non si esaurisce certo negli anni Settanta e Ottanta, dove aggiunge, tra gli altri, Cristo si è fermato a Eboli di Rosi, Tutto in una notte (1985) di John Landis, Cronaca di una morte annunciata (1987) sempre di Francesco Rosi. Senza mai tralasciare il grande amore per il teatro. Come nel 2005, dove ha diretto l'Antigone di Sofocle al Teatro Greco di Siracusa.
La Papas soffriva di Alzheimer dal 2013 e, ormai, aveva dato l'addio alle scene già da qualche anno. Federico Fellini era tra i suoi ammiratori più sinceri, mentre Audrey Hepburn l'aveva definita come «una delle migliori attrici della storia del cinema». Come darle torto.
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