Il grande ritorno di Aaron Watson alla “Billy Bob’s Texas Country Fair” di Padova

Chi ci andrà per ballare, chi ci andrà per ascoltare musica country dal vivo, chi ci andrà solo per curiosità… Di certo il pubblico previsto per l’apertura odierna della tre giorni del Billy Bob’s Texas Country Fair di Padova è quello delle grandi occasioni

Il grande ritorno di Aaron Watson alla  “Billy Bob’s Texas Country Fair” di Padova

Chi ci andrà per ballare, chi ci andrà per ascoltare musica country dal vivo, chi ci andrà solo per curiosità… Di certo il pubblico previsto per l’apertura odierna della tre giorni del Billy Bob’s Texas Country Fair di Padova è quello delle grandi occasioni: sono infatti attesi più di 40mila spettatori, che potranno essere ospitati nei vari padiglioni di Padova Fiere per assistere ai numerosi eventi in programma, dalle gare di ballo, alle esposizioni, ai concerti dal vivo. Numeri alla mano la Billy Bob’s Texas Country Fair padovana è forse l’evento più ambizioso del genere sul territorio italiano e contando anche sulla partnership fondamentale con uno dei locali texani più famosi, il Billy Bob’s appunto (che gli ha concesso l’uso del marchio), e sulla sua collocazione in un territorio strategico (il Veneto) per la realtà country italiana, le premesse per non fare la brutta fine del Pordenone Country Christmas (chiuso definitivamente dopo 7 anni di vita con l’edizione 2014 lamentando ingestibili perdite) ci sono tutte. Musicalmente parlando la punta di diamante di questa prima edizione è Aaron Watson, giovane ma navigato cantante texano che torna per la terza volta in Italia e si esibirà domani, 30 gennaio, alle 21.30 presso il Padiglione 7 della fiera. Torna forte di 12 album incisi in 15 prolifici anni, più di 2000 spettacoli dal vivo e il grande successo del suo ultimo lavoro in particolare, “The Underdog”, che, autoprodotto e distribuito in maniera indipendente (come tutti i suoi precedenti cd, peraltro sempre snobbati dai circuiti radiofonici ufficiali), è riuscito grazie al passaparola, ad una efficace promozione fatta in proprio, alla fedeltà dei suoi fan, alla qualità della musica che non si amalgama alla massa e nonostante l’assenza di un qualsivoglia passaggio radiofonico sui grandi network country americani, ad arrivare nel febbraio 2015 - primo artista "in solitaria" a riuscirci in queste condizioni - al primo posto nella classifica Billboard dei dischi country più venduti negli Usa: più di ventiseimila copie vendute solo nella prima settimana di uscita, quasi quanto quelle realizzate complessivamente nel 2012 dal suo precedente album (“Real Good Time”, 32mila). D’accordo, nulla che possa fare impallidire i big della musica country moderna come Luke Bryan, Jason Aldean o Florida Georgia Line ma un segno poderoso di controtendenza che lascia ben sperare per il futuro di chi ama il country neo-tradizionale.

Aaron Watson, 39 anni il prossimo agosto, è nato ad Amarillo (Texas) ed è cresciuto con i classici dei miti texani della metà del secolo scorso che i suoi genitori ascoltavano in casa (da Willie Nelson a Merle Haggard passando per George Jones e Waylon Jennings). Dopo aver imparato a suonare la chitarra all'università ha cominciato a girare i locali dello stato per dare sfogo alla sua passione musicale iniziando anche a scrivere gran parte della sua musica, che è sempre stata legata alla tradizione del genere e non ha mai seguito le mode del momento, tanto meno quelle odierne legate ad un'influenza pop che hanno generato la musica country oggi comunemente definita dagli addetti ai lavori come "bro-country", una evoluzione (o involuzione?), del pop-country della fine del secolo scorso oggi trasmessa in quantità industriale dai grandi network radiofonici americani. In effetti, fino a "The Underdog", Aaron Watson non si è mai fatto molto notare al di fuori del circuito texano (suo bacino di utenza primaria) e oltre la cerchia dei suoi pur numerosissimi fan sparsi in Usa ed Europa ma con questo suo ultimo disco, che peraltro strizza furbamente un po' l'occhio al suono della Nashville di oggi (sarà la co-produzione di Keith Stegall?), nessuno ha potuto esimersi dal concedergli un po' di spazio ed improvvisamente per lui è stata subito fama e notorietà con l'immediato avvio di un tour americano di circa 150 concerti nei soli Stati Uniti a cui ora, ad un anno circa di distanza dall'uscita di "The Underdog", segue un piccolo tour europeo che prima della tappa padovana di domani ha incluso Francia e Regno Unito. In una intervista a Rolling Stone Country Aaron si è definito come un Davide contro Golia: «Non sono mai stato accolto a braccia aperte dall’industria discografica. Ci sono così tanti modi in cui quel mondo può dirti che non ce la puoi fare che ad un certo punto non ti rimane altro che dire “Hey, va bene, prenderemo un'altra strada per arrivare dove vogliamo arrivare” ed è quello che alla fine abbiamo fatto. Se qualcuno ti chiude una porta in faccia, non devi permettergli di fermarti: non ti rimane che scardinare la porta o trovarne un’altra che sia aperta.» Non sentirete mai Aaron Watson cantare country pop o rap, tranne quando lo fa intenzionalmente per prendere in giro quel genere di country che oggi pare andare per la maggiore (come fa in “Hey y’All” nel disco “Real Good Time” – sottotitolo: My contribution to ruin country music, il mio contributo nel rovinare la musica country, ndr). «Non perchè abbia qualcosa in contrario con chi suona questo stile di musica ma evidentemente è uno stile che non mi appartiene, non mi ci ritrovo, non è mio e non lo sento “vero”». Fervente cristiano, sposato da 13 anni con la bellissima Kimberly e papà di 3 figli, durante i suoi concerti e le sue interviste tre sono le parole che pronuncia più spesso: fede, famiglia e fan. Senza una di queste pietre angolari, Aaron è convinto che non sarebbe potuto (e non potrebbe) andare da nessuna parte. Sostiene di non voler creare una qualche sorta di movimento “outlaw - new-age” della musica country e di non voler generare una sorta di conflitto contro i vari Luke Bryan del mondo country. C’è spazio per tutti. Certo è che proprio Bryan (uno tra gli artisti che oggi vanno per la maggiore negli States, in questo filone di nuovo “bro-country) gli dovrebbe restituire un favore: Aaron gli fece aprire uno dei suoi concerti sette anni fa con la certezza che Bryan gli avrebbe restituito il favore ma sta ancora aspettando…

Watson arriva a Padova con al seguito la sua band, The Orphans of The Brazos,

al completo; c’è quindi da aspettarsi un concerto col botto, che farà la gioia degli amanti del genere e dei numerosi ballerini di line dance che invaderanno tutti i padiglioni della fiera, incluso ovviamente il numero 7.

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