I "Corpi celesti" dell'amore hanno orbite sconosciute

Le vicende di tre sorelle e delle loro famiglie spiegano l'Oman di oggi. Fra oscurantismo e modernità

L'antica leggenda dice che, in principio, gli esseri umani fossero «tutti di un unico genere, maschile e femminile al tempo stesso», con «quattro mani, quattro gambe, e due teste». Ma le divinità, gelose e preoccupate del potere di questi umani, li tagliarono a metà: «Da allora gli esseri umani sono di due sessi e vanno alla ricerca della loro metà mancante per poter tornare a essere una cosa sola».

Il mito delle due metà, raccontato da Platone nel Simposio, viaggia attraverso i testi della tradizione islamica e diventa la lettura preferita da Asma': vent'anni, vive in un villaggio dell'Oman ed è la seconda delle tre figlie di Salima e 'Azzan. È la più studiosa, appassionata di libri e di testi sacri e, anche, la più convinta a diventare sposa e madre di molti figli. In realtà però, la prima a sposarsi è Mayya, chiesta in moglie da 'Abdallah, figlio del ricco mercante Sulayman. Mentre alla più bella, Khawla, tocca il destino di aspettare per anni il promesso sposo Nasir, sognando di essere Giulietta e finendo cornificata con una nemmeno nascosta fidanzata canadese.

Asma', Mayya e Khawla sono le protagoniste di Corpi celesti di Jokha Alharthi, il romanzo con cui l'autrice omanita ha vinto il Man Booker International Prize nel 2019 (per la prima volta assegnato a un'opera in arabo), e che arriva ora in Italia, pubblicato da Bompiani (pagg. 262, euro 18, traduzione di Giacomo Longhi; in libreria da oggi).

Una lezione si impara presto, nella vita in un villaggio dell'Oman sospeso fra tradizione (e repressione, colonialismo, patriarcato, riti tribali...) e modernità (e soldi, petrolio, macchine di lusso, videogiochi, social media, studi per tutti o quasi...): «che le persone non sono entità incomplete in cerca della loro metà mancante. Che né i corpi né le anime sono divisi in due. Che non esistono due persone che, a livello spirituale, combacino alla perfezione». Di più: esistono persone, come l'egocentrico Khalid, marito di Asma', pittore tronfio per la propria carriera «di artista», che sono «un corpo celeste completo in sé e per sé», che sanno ciò che vogliono e hanno già tutto e, in questo tutto, gli altri (o le altre) sono soltanto dei satelliti orbitanti con rispetto e devozione.

Corpi celesti non è soltanto un romanzo sul matrimonio, o meglio, su molti matrimoni diversi, quasi tutti infelici, e i vari modi di intendere le relazioni fra uomini e donne, e tra genitori e figli; è anche la narrazione di un mondo ancora pieno di contraddizioni, rappresentato, in un certo senso, molto bene dalla stessa Alharthi: la scrittrice, nata nel 1978, ha frequentato l'Università in Oman e ha conseguito un dottorato in Letteratura araba classica a Edimburgo. Oggi insegna letteratura araba alla Sultan Qaboos University di Muscate ed è autrice anche di saggi e libri per ragazzi. Il romanzo, che copre quattro generazioni di donne e le loro famiglie, d'origine o acquisite attraverso le nozze, arriva fino alla contemporaneità, che è rappresentata dai figli di Mayya e, in particolare, dalla primogenita, London. La ragazza porta un nome inusuale, che sconcerta le donne del villaggio e che, in realtà, nasconde un riferimento all'unico amore (mai confessato e mai sbocciato) di Mayya. E dire che suo marito 'Abdallah è innamoratissimo di lei: la chiede in moglie sfidando l'ira del padre tirannico, cerca di coprirla di ogni attenzione e di esaudire ogni suo desiderio, non fa neanche un plissé quando la governante/matrigna Zafira inveisce contro il nome dato da Mayya alla figlia.

Ma certi corpi celesti ruotano da soli, ignorando i satelliti o considerandoli solo marginalmente: e uno di questi corpi è Mayya, che «aveva l'impressione che gli eventi della sua vita facessero tutti parte di un sogno»; un sogno in cui lei si ritrova sposata da un giorno all'altro a un uomo che non ama, sua sorella Asma' si ritrova data in moglie a un uomo che non conosce (ma è decisa ad amare), e sua sorella Khawla è ossessionata da un amore infantile che tarda a mostrarsi come reale. La sua speranza è in London, la sua bambina: spera che almeno lei sarà felice; e invece, a neanche vent'anni London divorzia prima ancora di sposarsi, il suo amore infranto, il suo desiderio una ferita aperta, che continua a sanguinare, nonostante si senta sempre ripetere di «voltare pagina». Certi corpi celesti continuano a orbitare intorno al pianeta di riferimento, e ruotano, ruotano, anche se quello rimane indifferente. Continuerebbero a ruotare perfino se l'altro provasse a spostarsi.

A raccontare gli amori sconnessi e un Paese pieno di luci e ombre, sapori e odori, cibi e leggende, sensualità e sabbia, veleni e invidie, punizioni fisiche e obblighi arcaici sono, per ciascun capitolo, i diversi personaggi: dal debole 'Abdallah alla mastina Zafira, dall'imperscrutabile Mayya alla madre Salima e al misterioso padre 'Azzan. Personaggi che rivangano il passato, un mondo perduto che ancora vive, con i suoi dolori, nelle sofferenze del presente. Un mondo in cui le donne vivevano nell'ombra, relegate «a guardare il punto in cui il muro di cinta incontrava il cielo», come Salima.

In cui sono schiave, però amate dal padrone, come Zafira. In cui sono libere come la Luna, la bellissima Qamar, a cui tocca svanire nel deserto. Come certi amori, come le traiettorie dei corpi celesti in cerca della loro metà perduta.

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