Imperatore o maggiordomo? Cecco Beppe visto da vicino

Nel ritratto a cura di Rossana Crisci e Bernhard Macek pregi e difetti negli occhi di dame e generali della corte

Imperatore o maggiordomo? Cecco Beppe visto da vicino

Visto da vicino, Francesco Giuseppe era ancora l'imperatore? O vale per lui, a cento anni esatti dalla morte (il 21 novembre del 1916) quel detto famoso di Hegel sull'impossibilità di apparire grandi agli occhi del proprio cameriere? Colui che batté tutti i record di longevità regnante (68 anni) e accompagnò l'Austria-Ungheria all'apogeo e poi allo sfacelo, era noto per la coerenza meticolosa. Eppure, i racconti di contesse e maggiordomi, parenti e consiglieri - quelli che lo conobbero nell'intimità - ne danno un'immagine problematica.

Sono talmente numerosi i testimoni chiamati a rapporto in Francesco Giuseppe I (a cura dei ricercatori Rossana Crisci e Bernhard Macek, Mgs Press, pp. 116, euro 16) da comporre il ritratto insieme attendibile e ambivalente di un uomo profondo ma anche privo di slanci, leale e insieme opportunista, fedele alla moglie eppure attratto dal bel sesso, pacifista non meno che poliziesco. Ciascuno, in questa tavolozza, attinge al colore che preferisce.

L'accompagnatore Weckbecker, accortosi del colpo di fulmine tra Francesco Giuseppe e Sissi durante una festa, guida l'ancora inesperta ragazzina in una polka e poi confida: «Credo di aver ballato con la futura imperatrice». Un consigliere personale confessa: «Non abbandonava mai il suo decoro, aveva sempre ogni parola ed ogni gesto sotto controllo, sicché nessuno poteva dire di essergli davvero vicino umanamente». L'arciduca Leopold Wölfling: «Il rango e le precedenze per lui erano una specie di ossessione». Franz Spitzmüller, già ministro del Commercio: «Un vero cristiano cattolico che solo la fede in Dio spingeva a perseverare in situazioni spesso disperate». La principessa Louise von Coburg: «Un uomo limitato, gretto, influenzato da opinioni false e precostituite... un essere completamente insensibile, poiché la natura aveva dimenticato di dargli un cuore. Era un automa, un'idea vestita da soldato. Non ho mai incontrato nessuno che abbia raccontato qualcosa davanti a lui e per cui lo sforzo di raccontare fosse valso la pena». Sguardi maliziosi, prevalentemente femminili, si volgono al boudoir, dove la mitica Sissi promuove la relazione tra il marito e l'attrice Katharina Schratt: convinta di circoscriverne così, in un rapporto platonico, o quasi, le esigenze che lei stessa non sapeva soddisfare. Inconsapevole però del fatto - ecco una delle rivelazioni - che una vera amante esistesse davvero: Anna Nahowski, conosciuta dall'imperatore durante una passeggiata occasionale nel parco di Schönbrunn; e che ne fosse nata una figlia segreta, Helene, destinata a sposare il famoso compositore Alban Berg.

In questo valzer di pettegolezzi e ripicche compaiono giudizi spietati: «Se non l'avessi visto con la sua uniforme e nel suo ambiente, sicuramente non avrei distinto fisicamente l'imperatore dal suo maggiordomo: appariva così banale!». «Di lui si notavano due abitudini: alla benché minima agitazione si carezzava le Koteletten, i favoriti, e a tavola guardava fisso la lama del coltello». «La puntualità e regolarità burocratica vincevano su tutto. Quando suo figlio morì o sua moglie fu assassinata, non perse una briciola di aplomb; il passo rimase esattamente lo stesso, le Koteletten curate come sempre». Un'istantanea sulla burrascosa convivenza con Sissi nell'album della nipote: «Bussarono: l'imperatore voleva parlare con Sua Maestà l'imperatrice. Mia zia saltò. Non può vedermi così! Marie, trattieni l'imperatore! Digli che sto provando della lingerie nella mia stanza. E con questo sparì con incredibile velocità dietro la porta, mentre l'imperatore già bussava all'altra, per entrare».

Accanto a simili tratti impressionistici, le testimonianze contengono però anche giudizi storici impegnativi. Come il fatto che, ad ogni crisi politica e militare, Francesco Giuseppe abbia reagito concedendo qualcosa ai liberali, salvo rimangiarsi tutto appena la situazione si stabilizzava: così nel 1848, e poi nel 1859 combattendo contro l'Italia, e durante il duello con la Prussia per l'egemonia nel mondo germanico, e infine nel 1907 quando la disgregazione nazionalistica dell'impero lo indusse a introdurre il suffragio universale. Assolutista nel cuore, però cavallerescamente fedele ai patti, il vecchio Franz Joseph! Prima impegnato in un'estenuante trattativa con il fratello Massimiliano per allontanarlo dall'idea di diventare imperatore del Messico, poi inflessibile nell'esigere da lui la rinuncia scritta al trono asburgico.

Avvicinandosi l'ora fatale della Grande Guerra, anche le descrizioni più disinvolte cedono il passo a un tono solenne, presago della fine. Il generale von Margutti immortala gli attimi fatali della rottura diplomatica con la Serbia, dopo l'eccidio di Sarajevo. Francesco Giuseppe gli viene incontro «con sguardo interrogativo», ascolta le sue comunicazioni «con occhio fisso e viso rigido». Poi commenta «con voce velata e soffocata», insolita in lui: «Allora tutto è deciso». La scena successiva è degna di Joseph Roth: «Avviandosi a passo vacillante verso il suo scrittoio, si lasciò cadere pesantemente sulla sedia e afferrò gli occhiali. In quell'attimo gli tremarono talmente le mani che non riuscì subito a inforcarli. Lesse lentamente. A un tratto fece, senza volerlo, un gesto come per stornare un pericolo. Nello stesso tempo urtò con gli anelli della mano destra una coppa di vetro in cui stavano penne e matite. L'urto produsse una dissonanza dura e stridula. L'imperatore sussultò ed io pure. Quel suono interruppe la quiete del momento e diede l'impressione dello spezzarsi netto di qualche cosa».

Quello fu il crepuscolo. La notte arrivò due anni più tardi, preceduta soltanto dall'ultima raccomandazione al cameriere Eugen Ketterl: «Non ho ancora finito di lavorare. Domani svegliatemi alle tre e mezzo, come il solito».

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