Indicare sulla quarta di copertina che un romanzo uscito nel 1960, sei anni prima di A sangue freddo, è un libro «profetico sul lato oscuro di quella che sarà la rivoluzione giovanile», può creare troppe aspettative. Ma se il libro è di John D. MacDonald (1916 - 86) il confronto è possibile. Il termine della notte (Mattioli1885, pagg 282, euro 16, trad. Nicola Manuppelli) è l'implacabile rappresentazione di un terribile fatto di sangue a opera di quello che la stampa ribattezza «il branco di lupi», tre ragazzi e una ragazza in un vortice di violenza cieca e irragionevole. Ideatore della serie-culto dello strano investigatore privato Travis McGee che conduce le sue inchieste da una casa galleggiante, MacDonald - prosa carica di humour nero, quando non di sarcasmo hard-boiled - in Italia è noto soprattutto per il romanzo Il promontorio della paura (da cui sono stati tratti due fortunati film).
Il termine della notte è un romanzo-verità, la sapiente rivisitazione di un fatto di sangue attraverso un'analisi psicologica della catatonia di una società che sembra svegliarsi solo di fronte a inaudite esplosioni di violenza. La ricostruzione parte dall'analisi delle personalità dei colpevoli, dal loro profilo socio-familiare e psicologico, cercando di dare un senso all'enormità delle loro nefandezze, senza peraltro esprimere giudizi. Il perbenismo della provincia fa da osservatore speciale, mentre l'occhio dell'autore sonda gli abissi delle coscienze dei protagonisti, due ragazzi e una ragazza dai destini socialmente segnati, e un altro ragazzo, Kirby, figlio di buona famiglia, che non sa dire come si sia fatto trascinare in atti così insensatamente criminosi. «Per tutta la vita, persone come i genitori di Kirby hanno avuto ben chiaro in testa l'enorme solco che separa la massa di gente onesta dalla malvagia, selvaggia e minacciosa minoranza di coloro che vengono definiti criminali. Quindi non riescono a capacitarsi che il loro figlio... sia saltato dall'altra parte del fossato». Eppure Kirby è «psicopatico dalla nascita», il che di fatto toglie responsabilità alla società, «un impostore» che ha nascosto la sua «malvagia violenza dietro una blanda maschera di conformità».
James Grady, autore de I sei giorni del Condor, ha una venerazione per MacDonald: «Ha rivoluzionato la narrativa popolare, di cui è stato una forza dominante e creativa dagli anni '60 agli '80. I suoi romanzi sono stati lo specchio del periodo in cui li ha scritti, catturando il cambiamento della politica e delle prospettive dell'America, facendo luce su zone d'ombra che pochi americani conoscevano. E, soprattutto, erano divertentissimi e amati da lettori di ogni frangia sociale e politica». Joe R. Lansdale lo ritiene «un osservatore sociale e un favoloso stilista. Il John O'Hara della narrativa noir. Il termine della notte è uno dei suoi romanzi migliori e oggi sembra quasi un reportage giornalistico. Vi si analizza in dettaglio la follia omicida di un gruppo che scatena la sua violenza in tutto il paese e la storia di ognuno degli assassini viene studiata in profondità. È una bella storia per questi giorni torridi, un po' come un cubetto di ghiaccio lungo la schiena».
Per uno dei maestri del thriller moderno, Jeffery Deaver, autore de Il collezionista di ossa, «John D. MacDonald ha codificato il genere dell'eroe avventuriero della metà del secolo scorso. Un autore in grado non solo di creare thriller ad alto tasso di suspense, ma di prendere di mira la natura della condizione umana».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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