In effetti era difficile prevederlo. Chi avrebbe detto, trent'anni fa, che il nerd Max Pezzali avrebbe portato 120mila spettatori per due concerti a San Siro. Nessuno, manco lui, che allora faceva il fiorista a Pavia e aveva consegnato un mazzo anche a casa De Filippi su richiesta di Maurizio Costanzo. «Se mi avessero detto che avrei esaurito San Siro, avrei pensato di essere pronto per un Tso, allora non sapevo neppure quale posto avessi nel mondo», scherzava prima di salire sul palco poco dopo le 21 per due ore e mezza di brani cantati a memoria da sessantamila persone alla faccia di un caldo feroce (stasera il bis). E dalla scaletta si capisce che non è una esagerazione perché ogni brano è come fosse la story su Instagram della generazione X, «di chi ha vissuto gli anni Novanta da adolescente o poco più». I miti. Le sfighe. Gli obiettivi di quel tempo. E i luoghi comuni.
Non a caso, dopo l'iniziale (e purtroppo attuale vista la temperatura) La lunga estate caldissima, Max Pezzali entra dentro Sei un mito con una serie di ballerini «travestiti» da Arbre magique: «È uno dei tocchi più tamarri del concerto ma riesce a fare due salti e diventa poesia», scherzava lui prima di concentrarsi e iniziare «la più bella festa della mia vita». Lo è stata anche per una debordante quantità di pubblico perché raramente si è visto tanto entusiasmo adolescenziale in un pubblico che adolescente non è più. Gli anni. Lo strano percorso. Rotta per casa di dio. Dopo Una canzone d'amore arriva Come mai e tutto lo stadio canta a squarciagola proprio come quella volta, sì proprio come alle gite scolastiche. «L'altro giorno abbiamo fatto un concerto a Bibione e con il mio staff ci siamo sentiti come alla gita di terza media: le stesse battute di allora, le stesse risate». Il Max Pezzali che il pubblico si ritrova sul palco è il filo conduttore pop di questi trenta anni: «Oh non mi ci far pensare che sono trent'anni di carriera», scherza. E sul palco è tale e quale. Quando, dopo L'universo tranne noi, proprio mentre si sente il «profumo» di Hanno ucciso l'uomo ragno, arriva Mauro Repetto, ossia l'altro 883, la metà del gruppo che spaccò gli anni 90. Da una parte milioni di fan. Dall'altra la critica scatenata con il pollice verso. Ora Pezzali e le canzoni degli 883 riempiono San Siro e una certa idea di «critica» è stata sepolta dalla legittimazione del pop. «Quando iniziarono i Mondiali di calcio del 1990 Mauro ed io siamo venuti a San Siro per vedere la partita inaugurale Argentina Camerun. C'era Maradona, c'erano i campioni del mondo. Poi Omam Biyik fece il primo gol e io, che ero nel terzo anello e soffro di vertigini, ho iniziato a tifare Camerun, chiedendo ai tifosi di darci pezzi della loro bandiera. Ora essere qui a San Siro, 32 anni dopo, mi fa percepire San Siro come il luogo più bello del mondo». Ma i ricordi non finiscono qui. «A settembre vorrei passare qualche giorno a Parigi con Mauro a Disneyland». Reunion in vista? «Sento ancora energia tra noi». E c'era energia anche quando sono arrivate sul palco Paola e Chiara, ritrovate per l'occasione come coriste di lusso in Nord Sud Ovest Est e Tieni il Tempo, in La regola dell'amico/Disco Inferno/Bella vera. San Siro è una festa di fine anno.
E poi arriva J-Ax, con il quale «abbiamo tante esperienze insieme ed entrambi abbiamo iniziato in una band con un nome collettivo e poi siamo diventati solisti». Insieme cantano La mia hit e (anche stasera nel secondo concerto) Sempre noi. Quando Ax esce dal palco c'è la sublimazione della maxpezzalità: Sei fantastica, Nessun rimpianto, Con un deca e, nei bis, Il grande incubo, La dura legge del gol, Come mai e Gli anni in versione acustica con tutti insieme a salutare il pubblico. In autunno Pezzali (che si è separato dai manager di sempre Cecchetto e Peroni) tornerà con un tour nei palasport, che riprenderà in primavera e accumulerà la solita lista di tutti esauriti.
Ma ieri sera ha confermato la forza generazionale del pop, che semina e poi germoglia nel tempo, a prescindere dalle mode, a prescindere dalle età, riunendo tutti dopo decenni come se non fosse trascorso neanche un attimo.
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