Il film del weekend: "Lo chiamavano Jeeg Robot"

Folgorante e divertente opera prima in salsa romanesca che, pur ammiccando alle serie tv sulla malavita, al mondo dei comics e ai film americani sui supereroi, appare assolutamente originale

Il film del weekend: "Lo chiamavano Jeeg Robot"

Gabriele Mainetti debutta al lungometraggio con "Lo chiamavano Jeeg Robot", un film che porta una ventata di aria fresca nel panorama odierno dei titoli nostrani e che fa ben sperare nella portata vivificante e rigenerativa di un nuovo gruppo di autori.
Dimenticate il passo falso firmato da Gabriele Salvatores con "Il Ragazzo Invisibile", il cui dispiegamento di forze in termini di marketing non fece che amplificare la percezione del flop, e preparatevi a incontrare il primo vero supereroe all'italiana in una pellicola a basso budget ma realizzata con passione, coraggio e inventiva autentici.

Enzo (Claudio Santamaria) è un burbero e solitario criminale di basso livello che vive a Tor Bella Monaca. Un giorno, per fuggire a un inseguimento, finisce nel Tevere in un tratto del fiume in cui si trova un bidone che perde sostanze radioattive. Dal mattino seguente l'uomo sviluppa forza e resistenza sovrumane. All'inizio pensa di mettere a frutto la cosa nei suoi ladrocini quotidiani ma ben presto la sua attenzione è rapita da una vicina di casa, Alessia (Ilenia Pastorelli), perseguitata da un pericoloso boss psicopatico noto come lo Zingaro (Luca Marinelli). La ragazza non è lucida di mente, è rimasta sola al mondo e passa le giornate a guardare episodi del cartoon "Jeeg Robot d'acciaio" credendoli reali. Se da un lato Enzo diventerà il suo angelo custode, dall'altro lei lo avvierà a una nuova consapevolezza.

Questo folle, travolgente e divertente cinecomic di periferia è destinato a diventare un cult non solo tra i nerd amanti dei manga giapponesi, ma presso un pubblico davvero eterogeneo. Grazie ad una continua commistione di generi, a invenzioni visive e a un montaggio creativo, il film di Mainetti dissimula bene il fatto di nascere low-cost e intrattiene a suon di citazioni divertite, sequenze d’azione, momenti di respiro comico, dialoghi serrati e scene di violenza pulp sanguinolenta. L'universo fumettistico di "Lo chiamavano Jeeg Robot" è un ibrido paradossale tra la realtà malavitosa ritratta in certe fiction come "Romanzo Criminale", "Suburra" o "Gomorra" e il cinema supereroistico sul modello americano, riferimenti cui strizza l'occhio ma che prende anche bonariamente in giro. La forte connotazione romana o, per meglio dire, borgatara, era senz'altro rischiosa da adottare e invece si è rivelata uno degli elementi che ha reso il lavoro ancora più originale e genuino. L'irresistibile miscela coatta di ferocia e ironia fa sì che questo esperimento tutto italiano riesca perfino, pur mantenendo un registro leggero, a porre l'accento sulle problematiche reali di una città. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Il protagonista è dipinto da subito come un individuo taciturno e scontroso, senza amici, che trascorre le giornate a guardare porno divorando budini alla vaniglia. La sua futura dolce metà è invece una giovane dissociata che vede in lui l'incarnazione di Jeeg Robot e, pur essendo molto sensuale, ha l'ingenuità di una bambina. Peccato soltanto che la versione sciroccata e delirante che dà del personaggio la bravissima Ilenia Pastorelli ricordi, forse un po' troppo da vicino, tanti ruoli da bella, smarrita e svitata cuciti addosso in passato ad un'altra attrice, Micaela Ramazzotti. Infine, a dare il tocco più grottesco e volutamente trash al film, c'è il meraviglioso villain pulp interpretato da Marinelli, una nemesi che occhieggia al Joker di nolaniana memoria, uno psicopatico ossessionato dalla celebrità e dalla scalata al potere, che gigioneggia interpretando hit degli anni 80.

Se una piccola pecca si può trovare in questo splendido esordio è nel finale eccessivamente lungo: qualche

taglio qua e là in fase di montaggio, nell'ultimo capitolo della pellicola, avrebbe giovato senz'altro. All'uscita dalla sala, con negli occhi ancora l'iconica ultima scena, non si può fare a meno di desiderare un sequel.

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