Maglietta lilla da studente di college, felpa nera con zip, i lisci capelli corvini che ignorano lo shampoo, Quentin Tarantino ieri era a Roma per parlare del suo ottavo film, il western di neve e di vendetta The Hateful Eight (dal 4 febbraio con Rai Cinema). Folla davanti all'albergo di Trinità de' Monti, ressa di fans a caccia di autografi e corteo di celebrità: insieme al regista, il maestro Ennio Morricone, compositore della colonna sonora, e gli attori Kurt Russell e Michael Madsen, impegnati a pubblicizzare il film che negli Usa non è andato splendidamente. I fratelli Leone, del Leone Film Group che promuove l'opera, incrociano le dita. In nome del padre e del nume di Quentin, Sergio.«Il mio è un film molto teatrale, non è il tipo di lavoro dove puoi ricorrere a trucchi per abbreviare i tempi», spiega Tarantino, parlando della durata di quest'epos della vendetta (3 ore e 8 minuti, se nel formato 70 mm. da lui voluto per omaggiare il grande cinema dei Sessanta, ma 2 ore e 47 in versione digitale, la più diffusa). «Mi auguro che possa sopravvivere più a lungo degli indiani, sconfitti dai cowboy. Certo che i pellerossa gliene hanno fatte vedere di tutti i colori!», gongola lui, che in Italia si sente a casa. «Parte come un western, ma diventa un Kammerspiel, perché tendo a farmi trascinare da un genere all'altro. Non riuscirò mai a fare un film soltanto: devo sempre condensarne almeno cinque in uno! Da amante del cinema, espando i film. E ciò è positivo per il pubblico: con il prezzo d'un biglietto, vedono più film», scherza il regista, alludendo alle ibridazioni dei generi che costituiscono la sua cifra. «Sono un giocoliere dei vari temi, amo mischiare. Soltanto a film finito mi rendo conto di aver mescolato elementi su cui, in partenza, non avevo riflettuto». Pare un ragazzaccio che l'ha fatta grossa, ma la sua bocca a fessura di salvadanaio si apre in un sorriso compiaciuto: è consapevole d'essere icona di talento. «Quando ho iniziato il film sapevo di realizzare un western, poi è uscito fuori uno spessore da Dieci piccoli indiani alla Agatha Christie: ne sono felice».Poiché qui il soggetto del razzismo e dell'atavico odio tra Nordisti e Sudisti emerge con nettezza, si tratta del suo film più politico? «Questo film è diventato politico, ma non lo era inizialmente: in Django e in Bastardi senza gloria, l'elemento politico è più evidente. Quando mi sono messo a scrivere: Una diligenza si fa strada in mezzo alla neve, non ci pensavo. Ma quando i personaggi hanno cominciato a discutere della Guerra Civile americana, ho capito di rispecchiare l'attuale conflitto tra democratici e conservatori. Sono stato fortunato a trovare un legame con lo Zeitgeist contemporaneo», racconta Quentin, che in novantuno giorni ha girato un western invernale sulle montagne di Telluride, fra pioppi tremuli e tormente di neve nel Wyoming. Per fare qualcosa di classico e, contemporaneamente, diverso, lui e il direttore della fotografia, l'oscarizzato Robert Richardson, hanno restaurato le lenti usate nella sequenza della corsa delle bighe in Ben Hur.Per Kurt Russell, già con Tarantino in Grindhouse - A prova di morte e che ora incarna John «Il Boia» Ruth, avvolto da uno scenografico cappottone e ieri in total black, «Tarantino costruisce i suoi film come ragnatele. Il mio personaggio rimanda a una pietra miliare su cui si fonda la giustizia americana: anche la persona più insignificante ha diritto a un equo processo. Per questo il mio Boia vuole consegnare vive le sue prede», chiarisce la star.
Michael Madsen, camicia in tinta con i tatuaggi sulle braccia, già con Quentin in Le iene e Kill Bill e qui come pericoloso dandy, sottolinea: «A furia di ripetere, qui, la parola negro, s'è svilito il senso denigratorio del termine. Fosse vivo mio padre, morto a dicembre, avrebbe visto questo film».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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