L'amore è una cosa seria. Infatti fa morire dal ridere

Torna l'avvocato Malinconico di Diego De Silva. Questa volta, il caso da vincere è sentimentale

L'amore è una cosa seria. Infatti fa morire dal ridere

Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? Se lo chiedeva, proprio nel titolo di un suo libro, Raymond Carver, e la risposta è che ognuno ne parla un po' a modo suo. La verità, vi prego, sull'amore, pretendeva invece Wystan H. Auden, ma un poeta che vuole la verità è già poco credibile. L'amore, e in genere la felicità, anzi l'infelicità, sono i temi per eccellenza della letteratura, una strage, dal giovane Werther a Anna Karenina ai personaggi di Marcel Proust. Perfino la storia dei Promessi sposi, togliete Don Rodrigo e sarebbe di una noia mortale, tant'è che il romanzo finisce quando i due noiosi contadinotti si sposano, finalmente.

Spesso oggi è anche una lagna di libercoli femministi contro i maschi (tipo la Lucarelli che si lamenta dei suoi amori tossici, ma se li ha incontrati tutti lei si faccia due domande), o di romanzeria sentimentale scritta da decenni per far sognare le moderne Bovary, ma è anche il tema dell'ultimo romanzo Diego De Silva, Sono felice, dove ho sbagliato? (Einaudi), che come tutti i romanzi di De Silva è una droga, si ride dall'inizio alla fine e si riflette anche. Studiassero De Silva, i pomposi autori moderni che ti fanno addormentare a pagina due con la scusa dell'avanguardia che già faceva addormentare nel Gruppo 63 (tant'è che è rimasto solo Arbasino), o i Moresco che producono tomi sui vivi che sono morti e i morti che sono vivi.

Il protagonista non poteva essere che l'avvocato Vincenzo Malinconico, alle prese addirittura con una class action sentimentale quanto mai assurda ma probabile, e si sa, Malinconico si butta in ogni impresa, illuminando con umorismo aspetti della vita di ciascuno di noi, soprattutto quelli che parlano d'amore. «Quelli che parlano d'amore sono convinti di sapere tutto dell'amore. Perché pensano che la loro esperienza faccia testo. Io questa cosa non me la spiego. L'idea che le proprie faccende d'amore abbiano l'autorevolezza del vissuto, voglio dire. Come se il vissuto dei parlatori d'amore (che infatti nei discorsi infilano sempre la parola vita: Si tratta della vita, Ormai è fuori dalla mia vita, Ho messo la mia vita nelle sue mani e guarda come mi ha ripagato, ecc) fosse una specie di precedente giuresprudenziale che fa stato nelle vicende amorose altrui».

Ah, quanto ha ragione Diego, pardon Vincenzo Malinconico, in generale quando sento qualcuno che mi fa discorsi sulla vita, sua o in generale, stacco il cervello e penso a altro. La vita è così, la vita è cosà, peggio di quelli che ti raccontano i loro sogni, come se te ne fregasse qualcosa quando non ricordi neppure i tuoi perché sai che non significano niente. Il fatto è che De Silva riesce a costruire un thriller tragicomico sentimentale come pochi altri, di sicuro molto più di altri che lo snobbano credendo di fare letteratura alta, per poi mettersi in fila per cercare di prendere il Premio Strega (che non vincono, e non vendono quanto De Silva).

Sulla rocambolesca commedia umana tribunalizia vi consiglio di leggere il romanzo, ma intanto sappiate che in amore siamo tutti impantanati. L'amore è un pantano. C'è il pantano A (o pantano del figliol prodigo), dove «annaspi per anni in un rapporto che, per uno scellerato equilibrio perversamente retto da entrambi, ha raggiunto una stasi. Sai che la persona con cui stai è quella sbagliata sotto molteplici aspetti, e sai pure che ti basterebbero i primi due della lista per rompere definitivamente». C'è il pantano B (o della ritrovata maturità): «Sei infelice, e lo sai. Hai fatto qualche anno di analisi, che finalmente ti ha condotto alla consapevolezza che (oh, non scherziamo) era molto, molto difficile da raggiungere. E tu ce l'hai fatta». E dunque sei lì che ti arrovelli sul «chiudere questa storia o mandarla avanti, ma sul serio. To be or not to be (this is the question, but not the solution)». Senza parlare del Pantano C (o della rivalsa), dove «non hai bisogno di andare da uno strizzacervelli per arrivare alla conclusione (ma quale conclusione, l'avevi sempre saputo) che l'uomo a cui hai dato i tuoi anni migliori è un qualunquissimo stronzo che voleva tenersi l'amante e non ha mai avuto intenzione di farsi (o rifarsi: spesso è sposato) una vita con te».

Ma di pantani nel nuovo romanzo di De Silvia ce ne sono tanti, e è difficile non riconoscersi in nessuno, siamo tutti impantanati, perfino chi è single (e vorrebbe essere in coppia) e chi è in coppia (e vorrebbe essere single). In questo nuova (e sesta avventura) Malinconico si ritrova con una causa, mandatagli dalla moglie Veronica, riguardante una coppia di amici, e basata su un principio per niente strampalato: «se esiste un diritto privato, perché la sfera dei sentimenti non dovrebbe andare soggetta alla stessa legge che regola i rapporti matrimoniali?». Insomma, i rapporti sentimentali, visto che riguardano la vita appunto, non hanno diritti e doveri anche a prescindere dal loro riconoscimento giuridico? Solo Malinconico vi può trascinare in una simile follia e portarvi in tribunale, e solo De Silva riesce a essere così profondo e comico da farsi snobbare dai tromboni della letteratura colta. In ogni caso è un romanzo che fa molto ridere e molto pensare.

Io per esempio, leggendolo, anzi divorandolo, a proposito di vita ho avuto diverse amanti che mi dicevano: «Non posso vivere senza di te». Quando ci siamo lasciati sono andato a controllare, anche a distanza di anni, e sono ancora vive, e stanno pure con un altro. Bugiarde.

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