Sarà anche un'ovvietà affermare che Leonardo da Vinci è indecifrabile, eppure non lo si può evitare. Avvolto nel mistero, lascia sempre a mani vuote chi cerca di agguantarlo per classificarlo in qualche categoria. La sorte della sua arte fa pensare un po' alla musica di Mozart uno dei pochi geni a lui paragonabili - che tutti ascoltano rapiti, ma senza afferrarla. Tuttavia, a differenza di Mozart, Leonardo era poliedrico. Ha dipinto, scritto, inventato. Le celebri macchine volanti e i meno noti strumenti musicali: progetti che tuttora sbalordiscono e mettono tutti quanti d'accordo almeno su un punto: da Vinci era un genio. Anzi, il genio. Eclettico al punto di essere ingaggiato persino, si direbbe oggi, per «organizzare eventi». Come la Festa del Paradiso, ossia le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona. Riporta questo episodio l'artista e storico dell'arte Dalmazio Frau, che al grande fiorentino dedica L'angelo inquieto. Scienza e magia in Leonardo da Vinci (Iduna Edizioni, pagg. 132, euro 14) sottolineando che, almeno nell'intento di da Vinci, furono soprattutto nozze alchemiche. Perché è l'alchimia, o meglio l'ermetismo rinascimentale, la chiave di lettura qui proposta nel tentativo di risolvere l'enigma Leonardo. In verità, l'autore pone domande, più che dare risposte, e questo è senza dubbio uno dei pregi del suo libro. La prima tessera del suo mosaico è il titolo. L'angelo, perché Leonardo si pone al di sopra e al di là del maschile e del femminile. L'unicità della sua persona travalica e riassume l'essenza dei due principi nella perfezione dell'androgino una figura alchemica - spazzando via così le illazioni sul suo orientamento sessuale, di cui francamente in una società seria non importerebbe a nessuno. Inquieto, perché eccezionale e figlio del suo tempo, il Rinascimento del neoplatonismo del circolo di Marsilio Ficino, e come tale aperto al passato e in egual misura al futuro, certo della perfezione del cosmo e forse di poco altro.
Inquiete furono anche le sue opere. Per alcune di queste, l'autore propone una lettura ben lontana dalla voga scientista in auge da fin troppo tempo. La più affascinante è quella de La vergine delle rocce del Louvre, che riporta alla memoria la lezione di Erwin Panofsky. Giornalisticamente si può riassumere così: nell'arte rinascimentale il bello è il guscio, ma se si vuole l'uovo il guscio va rotto. C'è un mondo intero inscritto nell'arte maiuscola, se la si guarda con lenti che svelino il pensiero a essa sottesa. Ce n'è più di uno in quella di Leonardo, che lascia sempre lo spiraglio per un'interpretazione altra. «Vorremmo che certi dipinti ci invitassero dentro il quadro per partecipare al loro modo di essere», è la frase di Nicolás Gómez Dávila scelta per aprire il capitolo, e l'autore proprio nel quadro ci porta. Nella vicenda che vede il dipinto rifiutato dai committenti ed eseguito in due versioni (l'altra è alla National Gallery di Londra). Nei pressi della Vergine, ritratta in un contesto rivoluzionario rispetto alla tradizione, appunto tra le rocce, ossia in una grotta, simbolo, tra gli altri, di rinascita e del passaggio nell'aldilà. Vicino al piccolo Giovanni Battista, ma quello narrato nei vangeli apocrifi. Di fronte alla bellezza sfrontata dell'arcangelo Gabriele, o forse Uriel, condannato all'oblio da Papa Zaccaria nel 745, quando fu stabilito che gli arcangeli dovevano essere soltanto tre. Egli sorride di quel sorriso che è la cifra dei suoi volti più sfuggenti. I protagonisti di Leonardo sorridono quando ingannano. Dubbia è l'identità dell'arcangelo della Vergine delle rocce come lo è quella di Monna Lisa e di Salai. Sorridono perché un po' ci canzonano: come se sapessero chi siamo, mentre noi ancora non abbiamo idea di chi davvero siano loro.
Sta anche in questo la sua grandezza: accompagnarci per sentieri di cui non si vede la destinazione. Dalmazio Frau lo ha capito bene e ci ha dato la chiave per aprire la porta del labirinto, poi sta a noi vedere se ne veniamo a capo.
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