«L'America continua a coprire la verità sul delitto di John Fitzgerald Kennedy. E a ignorarla. Vogliono raccontarci una favoletta ma noi non ci crediamo. Nessuno si renda complice di questa omertà. Da quegli spari a Dallas è nata un'America diversa. Quel giorno non è stato ucciso un presidente, si è invertito il corso della Storia».
L'accusa è dura. Durissima. E cade come un macigno nella sala che si appresta a vedere la prima mondiale di Jfk revisted: through the looking glass. A lanciarla è Oliver Stone. «Il mio film del 1991 non c'entra. Quello era fiction, questo esce dagli atti e dagli archivi. Di quei documenti desecretati, però, nessuno parla».
La sala ascolta attonita e s'immerge tra le voci di Donald Sutherland e Whoopi Goldberg che trascinano nel vortice Jfk, 58 anni dopo quegli spari, inseguendo ancora la verità. È un viaggio senza tregua. Incalzante come le pallottole che la vulgata vuole sparate dal sesto piano di un condominio di Dallas. Un documentario vibrante, applaudito a scena aperta, quando le luci si riaccendono su quel reduce del Vietnam che non si è mai arreso alle bugie degli altri.
La tesi del film - prossimamente nelle sale italiane distribuito da I wonder pictures e poi forse sulla piattaforma Iwonderfull - sostiene che in quel novembre del '63 ci fosse stato un colpo di stato contro un giovane presidente, deciso a cambiare il mondo attraverso l'America. E la gente, di ogni razza e colore, lo aveva capito. Per questo piangeva. A pilotare quel golpe silenzioso sarebbe stata la Cia che Jfk voleva decapitare entro la fine del 1963.
Precise manovre politiche, secondo Stone, mirarono a screditare quel capo dello Stato che non omaggiava i militari. L'attacco alla Baia dei porci sarebbe stato costruito strategicamente dalla Cia, obbligando la Casa Bianca a portarlo a termine con pretesti anticomunisti, proprio per sobillare i cubani e spingerli ad attentare a Kennedy, facendo così un diretto favore all'intelligence americana. E a sostegno di questa tesi, Stone aggiunge che attentati erano stati pianificati anche nelle due trasferte di Jfk a Chicago e Tampa che avevano preceduto la visita di Dallas da cui non uscì vivo.
La politica estera di distensione verso Cuba, il dialogo con l'Unione sovietica di Krusciov con il quale stava mettendo a punto i primi accordi anti nucleari e soprattutto il ritiro dal Vietnam non andavano giù a una classe ancora legata al gabinetto Eisenhower e alle sue strategie. La morte di Jfk avrebbe spinto Nasser nell'orbita dell'Urss e invertito un processo destinato in origine alla pace. «Non la nostra pace, adesso, ma quella dell'umanità nei secoli a venire» come disse lo stesso Jfk in un discorso che apre il docufilm. E la saldatura tra Stone e Jfk va cercata proprio nel dramma del conflitto nel Sud Est asiatico, cui il regista partecipò e di cui ha confessato di subire ancora i traumi.
La stessa dinamica dell'attentato ha poi larghissimi coni d'ombra. Se è vero che Lee Oswald sparò, secondo il regista non fu il solo.
Oltre a lui, altri complici diretti o indiretti erano appostati sulla strada e sprarono al presidente. La perizia balistica e autoptica citata dal docufilm avvalorerebbe che la direzione dei proiettili non può essere quella finora accreditata. Insomma, una Storia da riscrivere.
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