Lucida follia di Ligabue tutta da «incorniciare»

di Giorgio Diritti con Elio Germano, Pietro Traldi, Orietta Notari

La vita di Antonio Ligabue, il pittore naïf di origini svizzere nato da due emigrati italiani, racchiude una molteplicità di temi, ancora oggi attualissimi, che non sono sfuggiti all'esame attento di un regista scrupoloso, preciso e bravo come Giorgio Diritti. Il maestro bolognese, già apprezzato per lo splendido L'uomo che verrà, dalla filmografia tanto parca quanto altamente qualitativa anche negli altri titoli in repertorio, ha affidato il ruolo dell'artista a un fuoriclasse come Elio Germano che lo ha trasformato in un Orso d'argento al Festival di Berlino, per la prima volta diretto da un italiano, Carlo Chatrian. Ne è uscito un film di ottimo livello che restituisce all'arte cinematografica e pittorica uno spessore considerevole. Il pregio maggiore è aver saputo cogliere nella vita di un personaggio discusso e ingiustamente sottovalutato aspetti che hanno un ruolo dominante nella società di oggi. Il bullismo di cui Ligabue è vittima da bambino e da adulto. L'amore per gli animali. L'anaffettività dei genitori adottivi che lo prendono in affido per denaro. La follia che lo rende zimbello di chi calpesta la sua dignità di essere umano. E perfino non aver diritto ai sogni. Nella fattispecie, non poter sposare la donna che ama a dispetto di un'unione finta con un concetto di bellezza socialmente condivisa, anziché con una creatura in carne e ossa realmente desiderata. E nel secolo della mercificazione di sensi e affetti non è denuncia di poco conto.

Se una piccola mancanza va trovata, è da ricercarsi nell'aver ignorato il rapporto tra la follia di Ligabue e la creatività di opere tanto sorprendenti. Ma allo stupore ha già pensato la sorte. Il film è stato presentato a Berlino pochi giorni dopo la morte di Flavio Bucci, che interpretò il pittore nello sceneggiato tv del '77, diretto da Salvatore Nocita.

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