Mélo, cerebrale e sui gay: il film che caccia il Leone

Xavier Dolan, il più giovane regista di sempre in gara a Venezia, firma una storia d'amore omosessuale a tinte noir. Che piace

Mélo, cerebrale e sui gay: il film che caccia il Leone

da Venezia

Ancora qualche ora e il gioco che tutti faranno al Lido di Venezia sarà quello del toto-Leone. E dunque chi vincerà l'edizione numero 70? Quale sarà il film che avrà appassionato il presidente della giuria Bernardo Bertolucci che ha dichiarato di volersi far sorprendere dai titoli in concorso? Ieri è stato presentato Tom à la ferme (Tom nella fattoria) del più giovane regista in competizione, il 24enne canadese Xavier Dolan già al quarto lungometraggio, che ha tutte le carte in regola per poter piacere alla giuria. Trattasi di melò omosessuale che vira poi su toni da thriller noir con qualche venatura addirittura di horror. Detto così potrebbe apparire un guazzabuglio, in verità il nuovo film di uno degli autori internazionali più giovani e prolifici (pochi mesi fa ha spopolato e scandalizzato in rete con il suo videoclip della canzone College Boy degli Indochine con tanto di ragazzo crocifisso a scuola dai «bulli»), è uno spietato gioco perverso, a tratti anche autoironico, sullo strambo rapporto che si crea tra due giovani: «Un tuffo nella profonda nevrosi di due esseri che cercano di colmare un vuoto comune», teorizza Xavier Dolan. Il primo, Tom, interpretato dallo stesso regista, è un giovane pubblicitario che arriva in una solitaria fattoria in piena campagna canadese per assistere al funerale del suo compagno. Lì però scopre che nessuno, neppure la madre, conosce il suo nome né la natura della sua relazione con il defunto. Quando Francis, il fratello maggiore di quest'ultimo, impone un macabro gioco di ruolo per proteggere la madre e l'onore della famiglia, s'instaura tra di loro una relazione perversa che farà intravvedere anche una latente omosessualità nel supermacho Francis.

Un po' melodramma come quelli classici di Douglas Sirk o quelli più espliciti sessualmente di Fassbinder, un po' debitore di lontane atmosfere hitchcockiane, con un occhio anche a Footlose con cui condivide l'ambientazione rurale e un riverbero di quelle lezioni di ballo nei passi di tango tra i due protagonisti maschili, Tom à la ferme è un film che sorprende in cui si respira molto cinema (a un certo punto c'è anche un cambio del formato cinematografico), cosa che naturalmente non può non colpire i cinefili, giurati inclusi, anche se è tratto dall'omonimo dramma teatrale di Michel Marc Bouchard. «Nella pièce - spiega il regista - c'erano 10 scene. Mentre ce ne sono 113 nel film. Delle scelte si sono imposte, alcune più difficili di altre. Ma in questo passaggio dal manoscritto allo schermo, penso con reale malinconia a un elemento lasciato indietro, che non ci ha seguito. Si tratta di una frase seppellita nella nota dell'autore alla fine della pièce. Sarebbe stato pretenzioso metterla in bocca a uno dei personaggi.

E non mi si sentirà spesso abbordare il film da questo punto di vista, io che cerco sempre di proteggerlo dalle etichette, dai ghetti. Ma la frase è: “Prima di apprendere ad amare, gli omosessuali apprendono a mentire”».

Così tra menzogna e verità, violenza e passione, ironia e serietà, Tom à la ferme ipoteca un riconoscimento nel palmarès di sabato.

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