"La macchina del tempo" la inventò Cortés. E macina la storia globale

Furono i «conquistadores» del XVI secolo a imporre la storiografia eurocentrica

"La macchina del tempo" la inventò Cortés. E macina la storia globale

La storia della scoperta e della colonizzazione dell'America Latina, in particolare del Messico, richiama alla mente l'opera di un celebre storico americano della prima metà del XIX secolo, William H. Prescott, La conquista del Messico (1843), divenuta emblematica della storiografia «romantica e liberale» dell'800. È un'opera che, malgrado l'età, resta godibile e letterariamente suggestiva. Scritta da un grande studioso formatosi nell'ambiente aristocratico e snob di Boston e del New England e affinatosi attraverso la lettura della grande storiografia europea del suo tempo - da Taine a Gibbon, da Thierry a Sismondi - La conquista del Messico di Prescott ricostruisce appunto la storia dell'incontro-scontro fra due civiltà, delle quali l'una, quella europea, appare all'autore certamente superiore, come dimostrerebbe il fatto stesso che l'impero azteco abbia potuto essere distrutto da un manipolo di avventurieri guidati da un geniale e affascinante condottiero, Hernán Cortés. Indipendentemente dalla non velata simpatia di Prescott per il Conquistador spagnolo e malgrado il tentativo di presentare uno schizzo storico-culturale della «civiltà azteca» antecedente la conquista spagnola, l'opera ha influenzato, nel bene o nel male ma comunque paradigmaticamente, gran parte della storiografia europea, ovvero occidentale, sulla colonizzazione del continente americano.

Il riferimento a Prescott mi è venuto spontaneo leggendo il nuovo lavoro di un importante storico francese, Serge Gruzinski, intitolato La macchina del tempo (Raffaello Cortina Editore, pagg. XX-324, euro 28), tradotto e presentato da Maria Matilde Benzoni. È stata un'associazione di idee per antitesi, perché i due studiosi, a parte il comune interesse per la conquista, non hanno nulla in comune. Prescott ricostruisce la vicenda della conquista del Messico attraverso una narrazione affascinante e coinvolgente come un romanzo di Walter Scott, mentre Gruzinski, eminente studioso dell'America iberica coloniale presso l'École des Hautes Études di Parigi, indaga sul «significato» della conquista, prima, e della colonizzazione, poi, per far capire come un approccio di tipo tradizionale o «all'europea» possa e debba essere superato nell'ottica di una «storia globale».

La tesi del volume di Gruzinski è sintetizzata nel sottotitolo: «Quando l'Europa ha iniziato a scrivere la storia del mondo». In altre parole, Gruzinski parte dall'assunto che con la conquista spagnola dell'America iberica ha avuto inizio proprio quella «storia globale» che viene generalmente fatta risalire, anche dal punto di vista della storiografia, al XIX secolo. Proprio a partire dall'800, infatti, lo «storicismo», come espressione e visione del mondo tutta occidentale, avrebbe cominciato a imporsi ovunque tracciando anche le direttive per ricostruire il passato e scrivere la storia. In realtà, secondo lo storico francese il processo di «globalizzazione della Storia» si sarebbe messo in moto già all'inizio del XVI secolo, quando i conquistadores, dando inizio alla colonizzazione, introdussero in quei territori, a cominciare dal Messico, la caratteristica modalità europea (o, se si preferisce, occidentale) di «scrivere la storia» e della quale - credo si possa ben dire - il capolavoro di Prescott è un esempio significativo. Questo modo di scrittura della storia della conquista e della colonizzazione viene assimilato da Gruzinski all'immagine della «macchina del tempo», cioè a uno strumento in grado di catturare e plasmare le memorie indigene e di inserirle in una griglia di riferimento temporale (pre-conquista e post-conquista) funzionale a una visione eurocentrica della Storia.

Secondo lo studioso francese l'attivazione di questa macchina del tempo fu opera proprio dell'eroe di Prescott, cioè di Cortés. Questi, in una delle relazioni indirizzate all'imperatore Carlo V, riferendo del suo primo incontro con Montezuma, presentò il passato degli aztechi come una narrazione mitologica delle origini che avrebbe legittimato la presenza degli spagnoli: quella relazione, insomma, avrebbe gettato «le basi di una storia preispanica inserita nella prospettiva dell'invasione europea» e avrebbe legittimato lo sviluppo di una storiografia in certo senso eurocentrica.

La prospettiva storiografica di Gruzinski è completamente diversa, nella misura in cui presenta la conquista e la colonizzazione del Messico e dell'America latina non più come eventi finalizzati alla costruzione di un sistema di dominio sia pure legittimato dalla «macchina del tempo», ma piuttosto come l'inizio di un processo di mondializzazione o globalizzazione del quale oggi vediamo gli sviluppi ultimi e che trova, alle origini nel XVI secolo, il suo centro propulsore proprio nella Spagna imperiale. Sullo sfondo della riflessione dello studioso francese c'è, evidentemente proiettata, l'ombra di una grande «storia globale» in grado di consentire una compiuta e corretta comprensione degli avvenimenti attuali grazie, con il ricorso alla cosiddetta «lunga durata», alla conoscenza del passato. Il rifiuto di prendere in considerazione la «lunga durata» espone lo storico al rischio di un appiattimento sul presente senza la possibilità di approfondire realmente le caratteristiche e le motivazioni più profonde del fenomeno o periodo che sta studiando. Da un punto di vista strettamente metodologico, il discorso di Gruzinski implica profonde riserve sulla prassi storiografica della periodizzazione e - si potrebbe aggiungere - di quella iper-specializzazione che affligge gran parte della storiografia contemporanea. E non è, davvero, poco.

In questo quadro, proprio il caso studiato in La macchina del tempo è davvero emblematico.

Attraverso il ricorso a materiali poco conosciuti - codici pittorici coloniali, testi aztechi e spagnoli d'epoca, opere di una storiografia «meticcia» rimaste in ombra - è possibile «ricomporre» il passato - nella fattispecie la vicenda della conquista e della colonizzazione dell'America latina - in un'ottica che non è più, e soltanto, quella «eurocentrica» del rapporto fra potenze europee e colonie o fra civiltà di livello diverso, ma è invece quella che suggerisce di cogliere in quegli eventi la prima grande manifestazione del fenomeno della «globalizzazione».

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