E per chi la ricorda fragile ed indifesa eroina romantica, la sorpresa sarà ancora più grande. Ma da Elisa di Rivombrosa ad oggi sono passati quasi vent'anni; il talento è cresciuto in proporzione, e la bionda angelicata di allora s'è trasformata in una guerriera muscolare, svezzata sui campi di battaglia in Bosnia. Insomma: per gli ammiratori di Vittoria Puccini La fuggitiva da lunedì 5 per quattro serate su Raiuno, con la regia di Carlo Carlei - sarà la conferma d'un talento, ormai, tanto sensibile quanto agguerrito.
Chi è questa fuggitiva? E perché fugge?
«Arianna è una madre di famiglia come tante. Fino a quando suo marito, assessore all'urbanistica nell'hinterland torinese, viene ucciso, e prove schiaccianti accusano del delitto proprio lei. Per salvarsi, e dimostrare la propria innocenza, non le resta che fuggire. Qualcosa che lei sa fare molto bene: al punto da seminare chiunque. Nel suo passato infatti, ignorata da tutti, c'è una terribile adolescenza vissuta in Bosnia, durante la guerra dell'Ex Jugoslavia. Se è sopravvissuta a quella, sopravviverà anche a questo».
La sua prova è estremamente fisica: corre, lotta e si batte con grinta da atleta...
«Beh, non ho mai corso per sport, ma sono sempre stata portata alla velocità. Mi sono allenata moltissimo con degli stunt, che hanno creato per me delle vere coreografie, fatte di corse, fughe, lotte. Si trattava di sviluppare in me la reattività fisica imparata da un'adolescente durante una guerra: non vere tecniche di combattimento ma, piuttosto, le reazioni fulminee che su un campo di battaglia possono salvarti la vita. Così mi sono misurata con una femminilità del tutto inconsueta. Ammetto: è stato divertentissimo».
Lei racconta di essere stata un'adolescente insicura. Come ha fatto a trasformarsi nell'inafferrabile Rambo di oggi?
«Grazie al mio lavoro d'attrice. A 14 anni non mi sentivo mai all'altezza di nessuno; è stato recitando, che ho acquisito l'accettazione di me stessa. Più ancora che rafforzarmi - a quello hanno provveduto i dolori della vita, come capita a tutti - recitare mi è servito per accettare e convivere coi miei limiti e i miei difetti».
In genere i ritmi frenetici dell'action consentono un approfondimento psicologico molto approssimativo. È stato così anche stavolta?
«Ma stavolta proprio il dinamismo del personaggio corrisponde alla sua emotività sentimentale! Azione e psicologia sono fuse, in Arianna, perché lei ha imparato fin da ragazzina ad individuare intuitivamente il pericolo, e a reagirvi con immediatezza. E poi ha fantasia: per fuggire si camuffa con parrucche e vestiti d'ogni tipo, vive tante femminilità diverse in una sola. Proprio il suo dinamismo ne rivela il carattere».
E poi ci sono le ferite dell'anima...
«Quelle nascoste nell'ombra del suo passato, certo. Per sopravvivere Arianna deve ricorrere a tecniche di combattimento che, in realtà, aborrisce, perché fanno riaffiorare traumi che vorrebbe invece cancellare. Ogni volta che tira un cazzotto a qualcuno, insomma, è l'ultima cosa che vorrebbe fare».
La grinta con cui ha affrontato questo personaggio si ricollega in qualche modo all'esperienza che ha vissuto durante la pandemia?
«Io sono fortunata. A differenza dei miei colleghi degli spettacoli dal vivo ho continuato, sia pure faticosamente, a lavorare. Proprio adesso sto girando con la regia di Ciro Visco un'altra fiction per Raiuno: Non mi lasciare, sulle indagini di un vicequestore che lotta contro la pedopornografia online. Però anche per me, come per molti, il lockdown è stato un tempo di riflessione forzata, in cui è riemersa la volontà di riprendere in mano il mio destino».
Che cosa ha fatto?
«Assieme ad altre colleghe abbiamo creato Unita, un'associazione di
lavoratori dello spettacolo di cui sono presidente, che aiuti il settore a veder rispettati i propri diritti, e a prendere consapevolezza come categoria. Quando le donne si mettono insieme diventano una forza inarrestabile».
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