"Maleficent 2", avvincente solo il duello Jolie-Pfeiffer

Un sequel dalla narrazione prevedibile e con un ritmo a tratti stagnante. A salvarlo sono la nobiltà di alcuni temi e il confronto tra le dive protagoniste.

"Maleficent 2", avvincente solo il duello Jolie-Pfeiffer

A cinque anni di distanza da "Maleficent", che nel 2014 incassò 758 milioni di dollari a fronte di un budget iniziale di 180, arriva nelle sale il seguito, "Maleficent– Signora del male".

Il primo film spiazzava dando una rilettura del personaggio di Malefica, una delle streghe più crudeli dell'intero universo fiabesco, e trasformandola in un'eroina. Questo sequel diretto da Joachim Rønning è destinato a fare la gioia dei bambini che hanno visto il titolo precedente e non annoierà più di tanto i genitori al seguito ma, onestamente, si poteva pretendere di più: la sceneggiatura traballa nella parte centrale, in cui diverse scene di raccordo sono fini a se stesse.

Narrativamente viene riproposto il forte legame tra Malefica (Angelina Jolie) e la principessa Aurora (Elle Fanning), che è oramai cresciuta e prossima al matrimonio col Principe Filippo (Harris Dickinson). Le nozze dovrebbero unire i due mondi, quello degli umani e quello degli esseri magici della Brughiera ma, durante la cena di fidanzamento, qualcosa va storto: la regina Ingrith (Michelle Pfeiffer) fa perdere le staffe a Malefica, mettendo a rischio la pace.

Il momento migliore del film è proprio quello che vede contrapposte in un "Eva contro Eva" le due future consuocere. Infatti "Maleficent - Signora del male", laddove funziona, è grazie alle dive protagoniste che incarnano una triade composta da una figura angelicata che illumina con la sua purezza d'animo, Aurora, una che trasforma le tenebre in luce, Malefica/La Fenice, e un'ultima la cui luminosità è solo posticcia, data dai gioielli, e atta a nascondere un cuore di tenebra, la Regina Ingrith.

La Jolie, elegante, misteriosa e altera come non mai, è di una bellezza soprannaturale e non solo perché il suo personaggio è dotato di flessuose corna e zigomi appuntiti. La dualità tra luce e buio nella sua Malefica è oramai meramente estetica, nell'accostamento della pelle bianchissima a vesti e ali nere, per il resto l'ex strega propende nettamente per la bontà e solo un'offesa al suo forte sentimento materno può tornare a renderla vendicativa come gli umani credono erroneamente che lei ancora sia. La sua figlioccia Aurora incarna invece il potere di una volitiva dolcezza, ha sembianze solari, una grazia leziosa e come scopo la pace tra i popoli, tema sempiternamente attuale. Una terza versione del femminile è declinata nella Regina Ingrith, per la quale l'armonia è espressione di debolezza e quindi da debellare anche a costo di un eccidio, peraltro da compiersi a tradimento in una chiesa addobbata a festa (scena terrificante, altro che fiaba).

Il messaggio della convivenza pacifica tra popoli, ancorché fondamentale e legato ai giorni nostri, appare ammantato di retorica e sono più interessanti i temi a corollario, come la potenza trasformante dell'amore, l'importanza delle origini, l'accettazione del diverso come arricchimento (basti pensare alla beltà nuova e fertile del castello nel finale).

Negli ultimi minuti si può osservare una rapida corsa a riempire le caselle del politicamente corretto facendo l'occhiolino a coppie gay e interraziali, (la prima composta da un funghetto e un piccolo istrice e la seconda da una creatura alata e una terrestre).

Tra elfi, alberi magici, spiritelli e

fatine (le uniche realizzate con una pessima computer grafica), qualche concessione al kitsch e uno scontro finale in stile Marvel più che Disney, gli alti incassi sono garantiti e l'intrattenimento è di qualità sufficiente.

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