L'intenzione ce l'aveva da tempo. Ma quando, dopo un recital-lezione, si è trovato dietro alla porta del camerino una schiera di ragazzine fan di Morgan che volevano chiedergli come si fa a scaricare dall'Ipad l'Incompiuta di Schubert, beh, allora non ci ha pensato un'altra volta: «Il concerto in jeans s'ha da fare», perché la musica è tutto, ma anche il modo di proporla conta e «oggi andrebbe svecchiato», è il suo mantra. Così Matthieu Mantanus, 34 anni, direttore d'orchestra già collaboratore-associato di Lorin Maazel e del compianto Giuseppe Sinopoli, con la società Ventidue ha progettato un concerto alternativo a quello tradizionale, che da secoli è uguale a se stesso: il maestro entra, saluta veloce, cala l'oscurità e via. E l'ideale romantico dell'artista che fa qualcosa di alto si perpetua. Sobrietà assoluta se non distacco. Che barba, tanti giovani bofonchiano, o peggio disertano; e con loro, chissà quante teste coronate.
«E allora basta frac - azzarda la giovane bacchetta -; tra certi interpreti vige ancora un atteggiamento di superiorità. Manca il rapporto col pubblico e il quadro è sempre lo stesso». A suo dire la musica è arte dal vivo, les art vivent, sostengono i francesi; «la rappresentazione in tutte le sue parti deve dare emozioni: è ora di cambiare», è l'appello. Ma come?
L'esempio è un'ipotetica serata che Mantanus & Co. lanceranno a maggio, con tanto di suggestivo incipit: buio pesto squarciato da un fascio di luce sul direttore, non più in marsina; lui parla e sorride, all'improvviso archi, ritmo e armonie, accompagnati da giochi di luce. Uno show, insomma, con sorprese e magari qualche colpo di scena. «Il compositore, del quale non si cambierà neppure una nota, verrà abbinato a un tema. Beethoven al concetto di rivoluzione, Cajkovskij all'intimità, Debussy e Ravel alla Belle Epoque». L'idea del «concerto comunicativo» ha precedenti illustri, sebbene diversi.
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