La strada degli Oscar è piena di buche. Ad esempio Marilyn Monroe, la diva che è sinonimo di Hollywood, non ha mai ricevuto una candidatura. Mal comune mezzo gaudio? Sì, certo, però, ma e pure boh... È quanto deve aver pensato l'altra sera Glenn Close che, nonostante la settima candidatura per The Wife, è finita per l'ennesima volta a far finta di applaudire un'altra attrice. In questo caso un'interprete di lungo corso, Olivia Colman in La Favorita di Yorgos Lanthimos. Ma non è sempre stato così. Per esempio nel 1988, quando era la stalker pazza di Michael Douglas in Attrazione fatale, venne sconfitta da Stregata dalla luna protagonista Cher che, intendiamoci, apprezziamo molto ma che poi ha lasciato un segno più in campo musicale che nella storia del cinema. Idem nel 1984 quando ottiene la seconda nomination per il corale Il grande freddo di Lawrence Kasdan mentre a spuntarla è la caratterista Linda Hunt che in Un anno vissuto pericolosamente di Peter Weir interpreta sorprendentemente un fotoreporter maschio. Ma non sarebbe elegante proseguire con questi scontri diretti perché, ovviamente, ogni annata cinematografica e ogni candidatura è una storia a sé. Quindi non possiamo che dire: provaci ancora Glenn...
Un detto che potrebbe valere anche per Viggo Mortensen che tiene in piedi, letteralmente, Green Book, Oscar come miglior film. A passargli davanti, nonostante la forza e le sfumature con cui restituisce la figura dell'autista rozzo che porta a spasso per gli States un raffinato musicista di colore, è stato Rami Malek in una delle tipiche interpretazioni «imitative» che tanto piacciono all'Academy, quella di Freddie Mercury dei Queen in Bohemian Rhapsody.
Poi certo la storia degli Oscar racconta anche di grandi interpreti che non hanno mai ricevuto neanche una candidatura come Rita Hayworth, Marlene Dietrich (candidata solo una volta per Marocco nel 1930) o, più recentemente, Scarlett Johansson e Emily Blunt. Ma c'è anche chi, pluricandidata come Michelle Pfeiffer, non ha mai vinto. In questa particolare categoria, un altro caso da manuale è quello di Amy Adams che, con sei nomination, non ha ottenuto alcuna statuetta. Nemmeno l'altra sera quando era candidata come migliore attrice non protagonista per il ruolo della moglie di Dick Cheney in Vice - L'uomo nell'ombra di Adam McKay. A sorpassarla è stata l'afroamericana Regina King per Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins nell'edizione che, come sappiamo, si è caratterizzata per un'attenzione ai film con temi razziali. Una maledizione che ricorda da vicino quella che ha afflitto a lungo Leonardo DiCaprio che, solo nel 2015, dopo ventidue anni di carriera e cinque nomination, è riuscito a ottenere la statuetta mangiando anche fegato crudo di un bisonte in Revenant - Redivivo di Alejandro González Iñárritu. Ma anche uno come Brad Pitt, nonostante le sue tre candidature, non ha mai vinto un Oscar come attore ma «solo» come produttore per 12 Anni Schiavo. Idem per Tom Cruise, Harrison Ford, Jim Carrey, Kevin Kostner, Sylvester Stallone. Anche se è andata peggio a Richard Gere e Johnny Depp che non hanno mai avuto neanche una nomination (James Dean l'ha avuta postuma...), proprio come Donald Sutherland che in più di mezzo secolo di film si è dovuto accontentare di una statuetta alla carriera due anni fa.
Poi, per fortuna, c'è il tempo a dare il premio più ambito, quello di entrare nell'immaginario collettivo, ripagando forse così i grandi e più incredibili esclusi della storia del cinema come Ingrid Bergman non candidata per Casablanca, Anthony Perkins per Psycho, James
Stewart per La donna che visse due volte, Judy Garland per Il mago di Oz, Sidney Poitier per La calda notte dell'ispettore Tibbs, Malcom McDowell per Arancia Meccanica, Gene Kelly per Cantando sotto la pioggia. Mal comune...?
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