I Mashrou' Leila, gruppo rock simbolo della primavera araba, che coniuga un'eccellente qualità musicale a testi che toccano con grande naturalezza molti dei tabù della cultura araba, suonano questa sera al Circolo Magnolia di Milano.
Questa intervista nasce da tre incontri avvenuti nell'arco di un anno, al Cairo, a Firenze e a Beirut, con il cantante del gruppo, Hamed Sinno e da svariati incontri con i loro fan durante alcuni concerti "sold out" ad Alessandria d'Egitto e al Cairo.
Come nasce la vostra musica?
Quando siamo in sala prova è importante che nessuno pensi che non possa dire questo o quello perché va contro il “main stream”. Il bianco o nero o i tabù non esistono solo nel mondo della religione o della politica, anche la musica che passa in televisione nei paesi arabi spesso ha codici netti sulla sessualità maschile e quella femminile. Se rispetti le regole si aprono più facilmente le porte dei canali tv di musica pop. Certo il nostro atteggiamento spontaneo è fondamentale in fase creativa, ma poi quando esce l’album, o saliamo su un palcoscenico, siamo consapevoli che la nostra musica pone domande e che noi, a quel punto, ci dobbiamo confrontare con reazioni di ogni tipo.
La vostra musica dimostra che il Medio Oriente sta cambiando?
C’è stato sicuramente un cambio culturale e sociale. Non tutto però prima era così oscurantista come si pensa in Occidente. In questi anni c’è stato un terremoto che ha rafforzato questi mutamenti, ma molto rimane ancora da fare. Il bianco e nero non esiste, la situazione non era pessima prima e non è ottima ora.
Oggi c’è maggiore consapevolezza delle proprie libertà?
Sicuramente sì, quando ho dichiarato che ero gay pensavo sarebbe successo un putiferio, invecenon è accaduto nulla.
Che reazioni hanno avuto canzoni i cui testi parlano di amori omosessuali o tra persone di religioni diverse, in cui non si ha paura di accostare le bombe con le preghiere dei muezzin, di parlare di materialismo o di criticare la violenza dei soldati ai posti di blocco?
Se la gente viene ai nostri concerti di solito ci conoscono già bene e amano la nostra musica.L’opinione pubblica invece ha avuto reazioni miste, una parte ci appoggia e una ci critica. Ma all’inizio siamo comunque rimasti molto sorpresi dall’accoglienza molto positiva di canzoni che avrebbero potuto risultare estremamente provocatorie.
C’è una battaglia nel mondo islamico, ma non tutto è bianco e nero, per esempio la mia famiglia, che è sunnita, è molto conservatrice e ha idee profondamente diverse dalle mie, ma mi accettano senza problemi. Non penso che il Medio Oriente sia in una fase regressiva come alcune fazioni politicoreligiose vorrebbero che fosse. Basta vedere com’era il cinema negli anni settanta, o la poesia antica. Io personalmente non mi identifico come arabo progressista. Non penso quando parlo a come mediare la mia identità mediorientale con il mondo occidentale, lo faccio in modo spontaneo. Così anche tutti i componenti del gruppo hanno creato le canzoni in modo intuitivo, quasi istintivo. Tocchiamo questioni che per alcuni potrebbero essere tabù senza averlo pianificato. In generale però moltissime persone non sentono questi argomenti come pericolosi. I paesi arabi non sono diversi dal resto del mondo, ci sono lotte di classe, o di genere. Molti hanno la tendenza a dire che certe richieste di libertà siano influenzate dal mondo occidentale, ma non è affatto così, sono solo sintomatiche di una società mediorientale complessa e dai molti volti.
Su questi temi ci sono differenze tra i vari paesi del Medio Oriente?
Oggi molto meno di prima, sicuramente Beirut è molto diversa, perché avendo talmente tanti partiti politici e confessioni religiose, i libanesi sono avvezzi al pluralismo. Per questo da un lato abbiamo pagato con una guerra civile, ma dall’altro, non avendo un governo forte, siamo abituati a sentire mille opinioni diverse. In Egitto, invece, prima avevano un sistema centrale molto forte e la sinistra era schiacciata. Dopo la rivoluzione le cose sono mutate velocemente e almeno nella società civile la gente oggi dice quello pensa.
Che relazione ha con la lingua araba. Ci sono vari livelli con cui la gente ascolta la vostra musica, in Medio Oriente, dove siete un gruppo cult, comprendono le parole delle canzoni, ma in occidente i vostri fan vi amano molto anche se poi si devono studiare i testi.
Quando iniziammo, decidemmo che volevamo cantare in arabo nonostante l’inglese fosse la mia lingua madre, scrivo, leggo e penso in inglese perché è la lingua in cui ho studiato. Ci siamo incontrati alla facoltà di design dell’Università Americana di Beirut. Risolvere problemi è il cuore del lavoro dei designer e noi abbiamo risolto il nostro dilemma iniziale sulla lingua scegliendo l’arabo. Volevano colmare la mancanza di indie rock arabo. Ascoltavamo molta musica straniera, ma pochissima araba perché quella buona non passava nei canali televisivi. Si sentiva solamente la musica “main stream” che a noi non interessava. Dopo tutti questi anni non potrei immaginare di cantare in inglese. Certo renderebbe le canzoni più accessibili per molti ascoltatori, ma amo pensare che alcuni livelli rimangano più intimi, quasi solo per noi.
Rolling Stone vi ha dedicato la copertina della sua edizione araba
E’ stato fantastico, era la prima volta che tutto il gruppo faceva una copertina insieme, spesso le abbiamo fatte da soli. Poi il fatto che una delle riviste cult del mondo musicale ci abbia messo in prima pagina è stato per noi davvero importante. Io ero stato già protagonista di articoli poi finiti in copertina, ma spesso si trattava di riviste sullo stile e sulla moda.
State lavorando a un nuovo album?
Sì, si tratta di un progetto ancora lungo, siamo solo all’inizio. Per altro stiamo lavorando su più fronti. E’ un periodo fecondo. Per esempio stiamo collaborando con un produttore molto commerciale. A questo punto non posso ancora dire troppo, ma per noi che siamo abituati a creare dischi che non appartengono al “main stream”, è un progetto molto insolito, una vera sfida.
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