«Molti dei musei che oggi visitiamo, non ci sarebbero affatto se non fossero esistiti i collezionisti». Ecco una verità dimenticata: lo statalismo che impregna la nostra società, fruitori dell'arte compresi, induce quasi a pensare che i capolavori della pittura siano nati sulle pareti di Brera o degli Uffizi. E invece no, sono sempre nati altrove e solo in un secondo tempo sono stati spostati (in certi casi: deportati) nei musei. Il prezioso virgolettato proviene da Collezionisti e musei. Una storia culturale (Einaudi), libro necessario di Raffaella Fontanarossa, storica dell'arte e in particolare, come si evince dal titolo, storica del collezionismo, quella passione che va da Tutankhamon a Miuccia Prada, tanto per dirne l'estensione cronologica.
«Le cose, gli oggetti, sopravviveranno al collezionista rendendolo, sulla carta, immortale», scrive l'autrice e io vorrei correggere, togliere quell'inciso: non sulla carta ma sulla tela, sulla tavola, sul marmo, ossia nella più tangibile delle realtà. Federico da Montefeltro sarebbe oggi solo un nome nei libri di storia se fosse stato soltanto uno dei vari duchi del piccolo ducato di Urbino, se non fosse stato soprattutto un grande mecenate, se non avesse commissionato a Piero della Francesca il ritratto di profilo che lo ha reso un'icona del Rinascimento. Mentre Andrea Odoni nemmeno un nome sarebbe, essendo stato solo un mercante, una figura dal punto di vista della storia con la S maiuscola, quella fatta di incoronazioni e di battaglie, del tutto irrilevante. Però aveva occhio e all'immortalità teneva quanto un duca e pertanto assoldò, a Venezia nel 1527, un pittore bravissimo che non dovette costargli troppo siccome in quel periodo era messo in ombra da Tiziano: Lorenzo Lotto. Oggi il ritratto di Odoni è al Castello di Windsor, chissà quante volte lo avrà visto la Regina Elisabetta, chissà quanti visitatori lo vedranno da qui alla fine del mondo. Perché il ritratto pittorico è lo strumento più efficace per eternare fattezze e personalità, superando i crudeli limiti della vita fisica. Al contrario delle immagini tecnologiche, inevitabilmente destinate all'obsolescenza, i dipinti durano secoli, a volte millenni. Ci sarebbe anche la scultura, è vero, ma spesso ha costi assurdi e quando si fa monumentale assolve a finalità politiche che la allontanano dall'ambito del collezionismo privato, avente solo finalità personali. Esistono eccezioni come quella di Marco Mantova Benavides, professore di diritto all'università di Padova, collezionista squisitamente privato di antichità che commissionò a Bartolomeo Ammannati un monumento funebre da collocarsi nella chiesa degli Eremitani. E quando vedi un simile mausoleo, con Benavides ritratto in marmo circondato da sette statue allegoriche, ti viene da pensare: ma quanto guadagnavano nel Cinquecento i professori?
I soldi, nel collezionismo ovviamente contano, ma non sono tutto. Alcuni grandi bibliofili, pur doviziosi, trovarono il modo di risparmiare parecchio. Fontanarossa racconta che il Duca di Berry aveva l'abitudine di «chiedere in prestito libri con il pretesto di farli ricopiare, salvo poi ometterne la restituzione, invero ponendovi il proprio ex libris!». Il figlio del re Giovanni II si risolse a restituire una Bibbia preziosissima, oggi alla Biblioteca nazionale di Francia, solo sul letto di morte e solo perché pressato dal confessore che gli avrà prospettato le fiamme dell'inferno. La stessa brutta abitudine di non restituire i volumi presi in prestito l'aveva addirittura un imperatore del Sacro Romano Impero, Rodolfo d'Asburgo: impossibilità di reperire altre copie? Momentanea carenza di liquidità? Perversione? Follia? Mi sa che adesso ci vorrebbe un altro libro, una storia mentale anziché culturale, dedicata agli aspetti psicologici e magari psichiatrici del collezionismo.
O almeno ai lati eccentrici, agli episodi incomprensibili
che punteggiano la biografia di questi personaggi. Ad esempio: come mai il cardinale Riario prima commissionò e poi rifiutò il Bacco di Michelangelo, quindi comprato dal banchiere Jacopo Galli e oggi al Museo del Bargello?
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