È la «seconda vita» del rap. Anche se il successo commerciale non è mai mancato, pochi nomi usciti nell'ultimo decennio hanno saputo conquistare, oltre alle classifiche, il rispetto degli appassionati. La carica anche musicalmente trasgressiva sembrava persa (quasi) del tutto insieme con l'arte di tessere rime significative o almeno divertenti. Ora però una generazione di 18-20enni pare intenzionata a riconciliare gli ascoltatori con il genere. Così non c'è rivista specializzata, ma ormai anche quotidiano, che non dedichi paginate ai fenomeni del momento, magari parlando di «nuova età dell'oro». La nuova ondata, che è essenzialmente losangelina, prende le mosse da una crew, un collettivo, chiamato Odd Future. Ne fanno parte ragazzi, a volte ancora adolescenti, decisi a farsi conoscere non solo nel campo della musica ma anche, ad esempio, in quello della moda. Non manca il talento, e neppure il senso degli affari.
Il primo a esplodere è stato Frank Ocean. Il suo Orange dribbla ogni convenzione, mescola il rap con il soul, compie incursioni nel territorio del rock alternativo. Ocean stesso, del resto, è personaggio fuori dagli schemi, essendo stato il primo rapper a fare outing nel mondo machista dell'hip hop.
Suo sodale, e mente musicale degli Odd Future, è Tyler the Creator, produttore, rapper e stilista. Di recente lo abbiamo visto a Milano, prima in un negozio di abbigliamento, poi sul palco di un locale imbottito di gente. Il suo recente album, intitolato Wolf, lima le asperità dell'esordio Goblin ma conferma la passione per suoni sporchi e aggressivi. Come i testi.
Fa parte della combriccola pure Earl Sweatshirt, forse il più dotato del lotto. Esordio tre anni fa a 16 anni con Earl, musica da stanza delle torture (elettroniche), testi su stupro, mutilazione, cannibalismo e omicidio. La madre ascolta e chiama, letteralmente, gli infermieri. Earl nel 2011 viene spedito in un centro di recupero per giovani difficili. Mentre è via, gli Odd Future esplodono a livello mediatico, lui diventa una piccola leggenda, il New Yorker gli dedica un ritratto da 8mila parole. Oggi torna con Doris, un disco rap che non è improprio avvicinare, come atmosfere, a gruppi rock come i Joy Division. Come ha spiegato a Mojo: «Prima non affrontavo temi realistici, oggi sì. Suono cupo, è vero. Ma cosa ci posso fare se ciò che mi rende felice ha un suono triste e deprimente?».
Fuori da Los Angeles, in rampa di lancio ora ci sono Joey Bada$$ (New York, 18 anni), Chance the Rapper (Chicago, 20 anni) e Angel Haze (Detroit, 22 anni). Gode invece di una stima già consolidata Kendrick Lamar, 26 anni, di Compton (contea di Los Angeles), autore di Good kid, m.A.A.d city, celebrato disco del 2012.
Sarà l'aria che tira, ma anche qualche grande vecchio ultimamente sembra rifiorire. Così Kanye West, invece di capitalizzare il suo status di talento ormai acclarato, se ne esce col suo disco più avventuroso, Yeezus, una bomba tra elettronica estrema, rap e soul. E perfino Eminem, ormai dato per disperso viste le ultime uscite da coma profondo, è tornato con un cd combattivo (e memore fin dal titolo del suo glorioso passato The Marshall Mathers LP 2). Successo immediato, confermato due notti fa agli Ema Awards dove il rapper di Detroit ha vinto due premi (hip hop e icona globale).
Cos'ha in comune la nuova scena con quella del passato, ritratta alla grande nel documentario di Ice T, The art of rap, appena uscito nelle librerie italiane? Forse sono maggiori le differenze. Mentre l'hip hop delle origini, da Grandmaster Flash ai Public Enemy, nasceva nelle strade, questi dischi sembrano piuttosto nati nel chiuso della propria stanza, davanti a un computer.
Il rap delle origini aveva beat grassi (per ballare), voci potenti (per non sparire nel rumore delle feste) e all'occorrenza messaggi politici (per mobilitare il ghetto). Oggi tutto pare minimalista, al confronto. Ma non meno bello.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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