"Mettiamo in scena le parole di De André contro il potere e la manipolazione"

Il duo porta "Amistade" al Piccolo Teatro Strehler stasera per la Milanesiana: "Dori Ghezzi ci ha dato dei materiali inediti. Ne è nata una contaminazione"

"Mettiamo in scena le parole di De André contro il potere e la manipolazione"

Flavia Mastrella è artista, scultrice, scenografa, fotografa, regista. Antonio Rezza è attore, performer, regista. Insieme sono Rezza e Mastrella, coppia del teatro italiano da 35 anni che, fra i numerosi premi, ha ricevuto anche il Leone d'oro alla carriera dalla Biennale Teatro di Venezia nel 2018. Questa sera sono a Milano, al Piccolo Teatro Strehler (ore 21) per la Milanesiana di Elisabetta Sgarbi («nostra estimatrice sincera» dicono), che nel 2019 aveva destinato a loro la Rosa d'oro, con lo spettacolo Amistade, che loro definiscono «una contaminazione tra la nostra opera Fratto_X e la poetica di Fabrizio De André, sfuggita dalle labbra di Dori Ghezzi». In scena, con Rezza e gli «habitat» di Mastrella c'è Ivan Bellavista; la coproduzione è di Sardegna Teatro; a seguire, Dori Ghezzi, Rezza e Mastrella dialogano con Armando Besio.

Da dove viene il titolo, Amistade?

(Rezza) «Da una suggestione di Dori Ghezzi, che ci vide in scena e decise di darci dei materiali inediti, o pseudo tali, di De André, perché le eravamo piaciuti».

(Mastrella) «Il titolo è una cosa delicata: volevamo far capire questa unione, ma non canora... È una questione che tocca più i contenuti che la parte musicale; e, anche, il rapporto fra Dori Ghezzi e De André: infatti all'inizio c'è una canzone cantata da Dori, perché lei è il motivo di questo lavoro».

Su quali materiali avete lavorato?

(Rezza) «Non musicali, bensì interventi politici, di letteratura e di costume, che faceva durante gli spettacoli o le interviste. Sono scene parlate che, in questo momento di mistificazione, sarebbero molto utili per smascherare le falsità delle notizie, propagate senza rispetto. Abbiamo scelto le parti politiche perché siamo inclini alla ribellione e contrari alle istituzioni, allo Stato e alla gerarchia».

(Mastrella) «Volevamo amplificare, o dare una visione ulteriore dei concetti di Fratto_X, che parla di quello che non va bene, e non ci piace».

Che cosa non va bene?

(Mastrella) «Non va bene niente».

Il potere?

(Mastrella) «Il potere c'è sempre nelle nostre opere. Lo troviamo detestabile. Di un certo tipo di potere ci può essere una buona esperienza, ed è quello creativo; ma quello che ci condiziona è pessimo».

(Rezza) «Il nostro è un lavoro speculativo. Flavia fa degli habitat che vivono, e io ci vivo dentro, e anche fra noi non c'è gerarchia. Non siamo inclini al compromesso, e non siamo i soli: tutta l'arte dovrebbe essere così».

Perciò mettete in scena parole e immagini di De André?

(Mastrella) «Quando ci sono le immagini, proiettate sulle fasce di Fratto_X o sullo schermo, non ci sono le parole; viceversa, se c'è la voce di Fabrizio non ci sono immagini. È un lavoro eccentrico. Dori Ghezzi si è commossa».

(Rezza) «Certamente, De André era un intollerante come noi, nel senso di non riconoscere la gerarchia. Bisogna essere insofferenti, in una cultura che tutela falsamente le minoranze, mentre discrimina profondamente. C'è un tale appiattimento che, anche a voler essere uccisi per le proprie idee, sarebbe impossibile».

Che cosa sono gli «habitat»?

(Mastrella) «Un luogo da vivere, che dò ad Antonio, senza sapere la storia e quello che andrà a fare dentro. Sono un posto pieno di sollecitazioni formali, che prende corpo in una storia grazie alla voce di Antonio».

Qui sono fasce gigantesche.

(Mastrella) «Sono nate da un lavoro di due anni sulla luce in movimento, un lavoro fotografico sull'auto-condizionamento. Poi Antonio ha vissuto in queste fasce e ha realizzato un lavoro che parla di plagio e di condizionamento. Infine abbiamo unito questo lavoro a quello di De André».

L'arte è un'arma contro il potere?

(Mastrella) «Sì, la creatività e l'arte sono l'arma più feroce contro il potere. Perciò il potere le detesta».

Però avete vinto il Leone d'oro.

(Rezza) «E per noi vale doppio, triplo. Il Leone dato a due persone che dicono che lo Stato non deve pagare l'arte è l'eccezione che conferma la regola, e uno sprone per i giovani a non mettersi in vendita».

Perché dite di fare «comunicazione involontaria»?

(Rezza) «Non c'è calcolo. L'arte che fa uso di calcolo non è di serie A, è di serie B.

Quello che facciamo è dettato da scientificità e rigore maniacale, ma non nasce da una idea precotta. E lo fa all'interno della massima libertà produttiva che ci garantiamo in un sistema che finanzia l'arte per farla stare zitta».

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