"Mi batto per impedire il suicidio della Francia"

L'intellettuale, che qualcuno vorrebbe candidare alle presidenziali, spiega la questione identitaria

"Mi batto per impedire il suicidio della Francia"

Pubblichiamo, in esclusiva per l'Italia, i passaggi principali della video intervista a Éric Zemmour realizzata sul media conservatore francese Livre Noir.

Parliamo un po' di lei. È figlio di Lucette, casalinga, e di Roger Zemmour, paramedico. Che valori le hanno trasmesso i suoi genitori?

«Prima di tutto il culto del lavoro e della scuola. Per mia madre la scuola era qualcosa che andava al di là del sacro, dovevo essere sempre il primo della classe. Inoltre le tradizioni familiari, le famiglie provenienti dall'Algeria, famiglie mediterranee, sono attaccate alle loro tradizioni, anche religiose. Da parte di mio padre direi l'amore per la storia della Francia e per la letteratura, l'ammirazione per i grandi scrittori francesi e per il francese. Per esempio mio padre ammirava moltissimo il generale De Gaulle, in primo luogo perché il suo francese era stupendo. Poi poteva anche avere da ridire sulla sua politica ma ad ogni modo il generale De Gaulle aveva un vantaggio a priori perché parlava secondo lui un francese straordinario.

I suoi genitori erano nostalgici dell'Algeria perduta, di quel paradiso abbandonato?

«Molti vi direbbero di sì, io no. Ho vissuto tra persone che non erano assolutamente nostalgiche dell'Algeria, bisogna comprendere ciò che avveniva in Algeria. La maggior parte delle persone era estremamente povera. Quando il generale De Gaulle ha concesso l'indipendenza all'Algeria, la mia famiglia era estremamente povera. Il mio bisnonno paterno era ciabattino, aveva nove bambini. Non ho mai vissuto quella miseria, ma vi assicuro che per i miei parenti venire in Francia è stata una benedizione. Hanno potuto lavorare davvero, hanno potuto nutrire i loro bambini, hanno potuto scalare i vertici della società. La Francia li ha lasciati lavorare come volevano, ricompensandoli. Quando mi sono diplomato all'Istituto di studi politici, credo che mio nonno non sapesse bene cosa fosse, me lo ricordo perché è morto qualche mese dopo. Era sceso per festeggiare con una bottiglia di champagne. Per lui era qualcosa di straordinario, mi ricorda qualcosa che ho letto ne Il Primo uomo di Camus. Un libro autobiografico, sublime tra l'altro, in cui ho ritrovato tutto ciò che avevo vissuto, la stessa identica storia. L'Algeria, la povertà, la scuola, la letteratura francese, la riuscita scolastica. La scuola francese era straordinaria, ha permesso a tutti i bambini di poter avere un'istruzione e per di più ha permesso ai più tenaci e meritevoli di scalare la società. E questo soltanto in due generazioni. Quando si dice oggi che ci vogliono cinque generazioni per farlo non credeteci perché non è vero e io sono la testimonianza».

Ho scoperto che Zemmour in berbero significa ulivo, lei è un uomo di pace Eric Zemmour?

«In effetti sono un uomo profondamente di pace e lo penso veramente ma sono un po' vecchio stile: se vuoi la pace, prepara la guerra. Vale a dire che il pacifismo che si prepara alla guerra rappresenta la feroce difesa della propria identità, della propria terra e della propria storia ed è ciò che consente la pace. La pace nell'onore. Oggi le persone pacifiste sono quelle che non vogliono vedere la realtà di questo grande ricollocamento, la realtà di ciò che chiamo la colonizzazione islamica, loro non hanno scuse, non hanno le scuse del 14. C'è chi confonde la sottomissione con la pace. Io difendo la pace perché non si avrà pace se ci si sottomette. Al contrario si avrà la guerra, e una guerra terribile. Personalmente faccio di tutto per evitare ai nostri figli questa guerra che si annuncia e che è già cominciata».

Ci sono argomenti sui quali ha cambiato opinione nel corso degli ultimi anni? Se sì, quali? Scoprendo un autore o scosso dalla realtà?

«Ci sono argomenti sui quali cambio parere o sui quali, in ogni caso, sono dubbioso. Per esempio la mia visione della rivoluzione francese è radicalmente cambiata da quando ho letto l'Les origines de la France contemporaine di Taine. Non vedo più la rivoluzione francese allo stesso modo. A lungo l'ho pensata alla maniera di Furet, sono uno dei figli della sua generazione negli anni Ottanta. È il periodo della mia gioventù e grosso modo è la distinzione tra il 1789 e il 1793. Come molte persone questa distinzione mi soddisfaceva. Dopo che ho letto Taine, non la vedo più così. Penso effettivamente che il 93 cominci, come sostiene l'autore, il 14 Luglio 1789. Dunque che il terrore cominci il 14 luglio 1789 e questo cambia tutto. Penso effettivamente come Taine e Tocqueville che la rivoluzione francese abbia portato avanti la centralizzazione del potere e l'eliminazione dei corpi intermediari della monarchia. Ogni generazione deve avere una posizione sulla rivoluzione e ovviamente io lo faccio e l'ho fatto a vent'anni ma non lo farei oggi allo stesso modo».

Com'è cambiata la classe politica francese negli anni? Che cosa ne direbbe oggi?

«Ho conosciuto la fine dei gollisti storici, quando seguivo le riunioni del RPR, c'erano ancora Maurice Couve de Murville, Michel Debré, gente così... sono le persone che avevano frequentato il generale De Gaulle, seriamente. Ricordo molto bene anche Valery Giscard d'Estaing e insieme a lui c'era anche Jacques Chirac. Dirò due cose che li differenziano dai politici di oggi: in primo luogo la conoscenza intima della storia, erano tutte persone che avevano conosciuto la guerra, anche la Seconda guerra mondiale come Mitterand o la guerra d'Algeria. Sapevano perciò che, secondo la celebre formula di Raymond Aron, la storia era tragica. Si può notare un comune denominatore a partire da Nicolas Sarkozy, Francois Hollande ed Emmanuel Macron, vale a dire che tutti loro hanno in comune di non conoscere niente della storia né studiata sui libri o vissuta sulla loro pelle. In secondo luogo la cultura; quando si discuteva con Giscard, con Peyrefitte o persino con Balladur, con gente così, bisognava conoscere certi libri, bisognava conoscere la storia della Francia, la conoscevano a menadito, avevano letto libri, sapevano cos'era la letteratura. Ci si prendeva gioco per esempio di Giscard che ammirava moltissimo Maupassant e che voleva scrivere romanzi. È vero, era un po' ridicolo. Ma cosa dimostrava? Che leggeva libri, romanzi, leggeva Maupassant. François Hollande non ha letto una riga di Maupassant...».

C'è chi insinua che lei potrebbe pensare a una candidatura per le prossime presidenziali. Non le porrò la domanda diretta perché non ha alcun senso, almeno adesso, ma si vedrebbe in questo ruolo?

«Non ho difficoltà a immaginarmici perché lo faccio già da molti mesi, da quando tutte le sere sono a CNews. Ogni sera finiamo per chiederci cosa viene proposto concretamente per risolvere i problemi della Francia, al di là della pura concettualizzazione. Penso sempre più a come mettere in pratica ciò che dico. D'altronde continuo a pensare che ciò che manca alla nostra classe politica è la diagnosi. Fanno proposte nel vuoto, non capiscono cosa succede, sia Marine Le Pen sia Macron. Bisogna trattare a monte la faccenda, se non vogliono ammetterlo, se non lo capiscono, faranno un buco nell'acqua.

Tuttavia mi spiace ammettere che da vent'anni, facciamo cinque, Il suicidio francese è del 2014, i miei libri cominciano a datarsi ma non vedo la politica impegnarsi per risolvere i problemi».

Intervista a cura di Livre Noir

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