La missione di Gergiev, "Dirigendo Musorgskij vi spiego la musica russa"

Il maestro sarà alla Scala dal 27 febbraio con "Chovanscina": "Melodramma capolavoro"

La missione di Gergiev, "Dirigendo Musorgskij vi spiego la musica russa"

Chovanscina di Musorgskij è uno dei titoli d'opera più attesi alla Scala (dal 27 febbraio). Fa paura al solo pronunciarlo: il «ina» finale sta per vigliaccata/congiura dei principi Chovanskij, desiderosi di potere e contrari alle spinte innovatrici di Pietro il Grande. Un affresco grandioso della Russia di fine Seicento curato da Mario Martone per la regia e Margherita Palli per le scene.

Ma il leader massimo dell'operazione è il direttore d'orchestra Valerij Gergiev: interprete madrelingua, nato a Mosca (1953), cresciuto in Ossetia e da 31 anni alla guida del teatro Mariinsky di San Pietroburgo. Che è il pilastro del sistema-Gergiev, il quale ha creato festival da un capo all'altro della Russia, sorta di Mariinsky in franchising. È ospite di orchestre di tutto il mondo, ha una conduzione stabile a Monaco e alla testa del Festival di Verbier. Siede nelle giurie di competizioni onde fiutare i talenti da promuovere: Daniil Trifonov l'ha lanciato lui, per esempio. E l'ultima scoperta è la pianista undicenne Alexandra Dovgan, la sentiremo in maggio al Festival di Brescia e Bergamo.

Gergiev è un prodigio d'imprenditorialità. Nel 1988 assunse la direzione stabile nonché assoluta del Mariinsky, che da allora non ha sovrintendente: decide lui, su tutto. Ha evitato che il teatro finisse tra i relitti del crollo sovietico. Anni duri, i Novanta, si navigava a vista nella Russia della disgregazione sovietica. Gergiev decise di rimanere anche se «al Metropolitan di New York, dove sono stato per 11 anni il direttore principale ospite, speravano che prima o poi potessi dedicarmi in modo totale a loro. Ma non era possibile: la mia casa è San Pietroburgo».

E così, lui, uomo Time, smalto internazionale, aggiunge con naturalezza: «Mia mamma è lì». Ma anche la moglie (rigorosamente osseta), i figli e le inseparabili sorelle. Alla Scala si fece conoscere con un concerto alla testa dell'Orchestra Filarmonica, che da allora dirige con regolarità. «Ricordo come se fosse ieri, era il maggio 1990. Ero venuto a Milano con Rostropovich». Chi assistette al concerto, e comprende la musica, riferisce di una Quarta Sinfonia di Cajkovskij memorabile. Per la verità, la critica non s'accorse del quel giovanotto, concentrandosi sulla leggenda-Rostropovich.

E' stato lui a dirigere l'ultima Chovanscina scaligera, 21 anni fa. «Credetemi: è uno dei melodrammi più interessanti che vi siano. Lo sosteneva anche Abbado». Cosa ritroviamo della Russia di oggi? «La storia della Russia si ripete uguale ogni secolo. Abbiamo sempre avuto tre tipologie di zar: forti, come Pietro il Grande, Caterina II e Ivan il Terribile. Quindi prudenti e infine deboli. I Russi vogliono zar forti. Del resto, non siamo piccoli come Olanda, Svizzera o Lussemburgo: Paesi che attraversi in auto in un giorno. In Russia non basterebbe neppur un anno per percorrerla».

Per la verità, aggiunge, «spero che in Europa, Russia, Asia e Usa gli zar siano più prudenti. Stiamo vivendo una fase pericolosa. Dovremmo pensare di più al futuro dei nostri figli».

Nell'agenda di Gergiev, gli Usa sono sempre state determinanti. A New York, per dire, ha sede una Fondazione a sostegno del Mariinsky.

Ed ora? Quanto incidono gli attriti fra i due Paesi sulla rete russo-americana tessuta da Gergiev? «Noi continuiamo ad andare negli Usa. Il Mariinsky ha sempre un'incredibile accoglienza. Del resto, abbiamo una grande orchestra, corpo di ballo, cantanti: perché non dovremmo essere trattati diversamente? La gente va forse alla Carnegie Hall per sentir parlare di Repubblicani e Democratici? No. Vuole sentire musica. Vuole una boccata d'ossigeno».

Gli Italiani nel cuore di Gergiev? Ricorda gli incontri con Abbado, Chailly, Muti, Pollini. Il pensiero va «alla cena con Strehler: ore e ore a parlar di musica».

E chiarisce: «Da voi rappresento la musica russa. Questa è la mia missione. Però a San Pietroburgo porto tanta musica italiana. Nel nostro repertorio abbiamo almeno 25 opere italiane. Negli ultimi tre anni ho scoperto Simone Boccanegra, Vespri siciliani e riscoperto Falstaff affrontandolo con giovani cantanti.

Lavorare con le ultime generazioni offre nuovi spunti. Dal 1988 ho visto alternarsi tre generazioni di cantanti a San Pietroburgo. Arrivai che Olga Borodina era agli esordi, poi è stata la volta della Netrebko, quindi di Abdrazakov. Li ho conosciuti che erano quasi bimbi».

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