Le mitiche origini di Venezia tra verità e propaganda

Un saggio di Ortalli ripercorre e interpreta le fonti sulla misteriosa fondazione della città lagunare

Le mitiche origini di Venezia tra verità e propaganda

Non è facile raccontare la Storia di Venezia.

Perché? Perché è stata raccontata tante volte e, spesso, nel raccontarla si è scelto di privilegiare una particolare versione. Per volontà politica, per vanto... o anche, dall'esterno, per invidia verso la Serenissima, che nemici ne ha avuti tanti. Senza contare le versioni di comodo nate per polemica interna, visto che per secoli, i patrizi veneziani hanno lottato, tra maggiori e minori consigli, al fine di indirizzare le rotte della politica di un vero e proprio impero mediterraneo.

Il risultato è che gli storici odierni si trovano a dover districare un nodo gordiano di versioni, soprattutto sulle origini della città, che qualche ripercussione l'hanno anche sulla vita politica di oggi. Tanto che quando il sindaco Luigi Brugnaro si è azzardato a dire, qualche mese fa, che Venezia è stata «costruita dai veneti che poi d'estate tornavano nei loro territori» è subito ripartito il dibattito degli storici: pare proprio la zona fosse ampiamente abitata in epoca romana.

A cercare di creare dei punti fermi contro l'acqua alta della propaganda è lo storico Gherardo Ortalli nel suo Venezia inventata. Verità e leggenda della Serenissima (il Mulino). Il tema è caldo infatti sull'argomento sono usciti anche articoli e altri volumi, quest'anno, come Storia spregiudicata di Venezia (Neri Pozza) di Pieralvise Zorzi. Ortalli, che è professore emerito di Storia medievale all'Università Ca' Foscari di Venezia, sposta l'asticella al di là dell'appurare come davvero sia stata fondata la città - uno dei temi più dibattuti e al momento irrisolvibile: la fondazione - ma spinge il lettore verso la più utile direzione di stabilire come il castello mitografico che ha preso il posto della reale storia di Venezia «abbia potuto crescere e consolidarsi, restando a lungo più vero del vero nonostante la sua inconsistenza». Parte dalla Istoria Veneticorum scritta da Giovanni Diacono sino a circa l'anno del signore 1008. Secondo lui la città sarebbe nata quando gli abitanti di Vicenza e Verona - i Venetici (termine per altro di origine greco bizzantina) - nel cinquecentoquaranta d.C., fuggendo dai longobardi si sarebbero stabiliti in Laguna. Siamo ben lontani del 25 marzo 421 che è la data tradizionale in cui si immagina la fondazione della città (che è sicuramente falsa). Del resto il primo riferimento al 421, scrive Ortalli, «porta a un manoscritto conservato in Francia, a Metz, forse di fine secolo XII». Sette secoli dopo la presunta fondazione: «Sbrigativamente dice: Anno domini currente CCCCXXI edificatio civitatis Venetiarum». Fine. Poi il silenzio. Ma sostanzialmente, al di là delle date, il movente narrativo di Giovanni Diacono, e questo sì conta, era quello di dimostrare che Venezia rispetto a Bisanzio era sostanzialmente autonoma e nata da «origini selvagge» che la ponessero al riparo dalle pretese della corte di Costantinopoli.

Tutto il testo di Giovanni Diacono è pensato proprio per minimizzare il fatto che a lungo Venezia sia stata, de facto, legata a filo doppio all'Impero d'Oriente. Quel legame nel 1008 era ormai molto logorato e andava insabbiato sul fondo dei canali, per marcare l'indipendenza nuova della Serenissima. Giusto per capirci: quando narra i fatti dell'anno 810, in cui per fermare i Franchi i Veneziani vengono soccorsi da una imponente flotta bizantina che respinge il nemico, l'autore della Istoria Veneticorum se ne dimentica.

Passano gli anni e i problemi cambiano, quando diventa chiaro che ormai il cordone ombelicale con Bisanzio è tagliato resta comunque da marcare la propria autonomia religiosa.

In quell'ambito il punto di partenza è che nell'828 arrivano in laguna, trafugate da Alessandria, le presunte ossa di San Marco. Risultano utilissime per sancire l'autonomia religiosa della città lagunare da Aquileia (luogo del reale apostolato dell'evangelista). Ecco che allora si crea un apposito miracolo che spieghi perché il Santo deve essere collocato proprio a Venezia. Si sviluppa poi una situazione complessa in cui, nel corso dei secoli, spuntano una testa del Santo che sarebbe stata dimenticata durante il trafugamento proprio ad Alessandria ed un secondo corpo a Reichenau. Del resto nel medioevo la comparsa di reliquie multiple era la norma. E Venezia avrà cura di difendere l'autenticità delle sue.

Con il trascorrere del tempo l'origine venetica rivendicata da Giovanni Diacono pare essere poca cosa per una città che è ormai una vera potenza. Ecco che allora c'è chi gioca la carta dell'eroe troiano Antenore che sarebbe arrivato prima a fondare Venezia e poi Padova, ben prima che Enea fondasse Lavinio e poi suo figlio Iulo Alba Longa. Questa la leggenda raccontata da Martino da Canal nelle Estoires de Venise, redatte in francese tra il 1267 e il 1275. Il tutto con la necessaria prudenza perché Antenore sì era un eroe mitologico ma anche con una certa fama di traditore come insegna l'«Antenora» di dantesca memoria. Però l'origine mitologica (per battere in antichità i vicini padovani) valeva il rischio. E questi sono solo esempi, nel volume ce ne sono molti altri.

Sino alla fine del Duecento la fantasia dei narratori nel proporre «i racconti più bislacchi ma in grado di risultare efficaci per una artificiosa autocelebrazione». Dopo lo sviluppo di una più raffinata cultura umanistica cambiò le regole del gioco costringendo, secondo Ortalli, a procedimenti autocelebrativi più prudenti e meglio costruiti. Attenzione non la fine della storia cambiata per propaganda ma l'inizio di una storia manipolata con maggior cura da intellettuali raffinati, come Marin Sanudo, con la sue Vite dei Dogi. E il gioco per gli storici si fa quindi ancora più complicato per distinguere i fatti dal marketing (come lo definisce Pieralvise Zorzi l'autore di Storia spregiudicata di Venezia).

Ma, alla fine, anche quella che narra come siano nate le favole su un posto favoloso come Venezia è Storia con la S maiuscola.

Certi fatti non li accerteremo mai, però lasciando la parola a Ortalli: «Bene o male che sia il mito, o se si preferisce la favola, resta pur sempre un segno forte e un giudizio chiaro per quanto inventato». E il suo segno Venezia l'ha lasciato anche mascherando la realtà come in un magnifico carnevale.

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