"Momenti di trascurabile felicità", connubio mancato tra temi seri e leggerezza

Un film che mischia toni surreali, dramma e spensieratezza in modo disarmonico, sfiorando solo superficialmente la possibilità di divertire e far riflettere

"Momenti di trascurabile felicità", connubio mancato tra temi seri e leggerezza

Il nuovo film di Daniele Luchetti, "Momenti di trascurabile felicità", è scritto dal regista insieme all’autore dei due libri da cui è (molto liberamente) tratto, Francesco Piccolo. Quella che dalla sinossi sembra essere una commedia agrodolce in grado di affrontare temi seri commuovendo e divertendo, alla visione si rivela purtroppo un'occasione in buona parte mancata. La leggerezza sulle cui ali avrebbero potuto viaggiare contenuti impegnativi e universali, lascia troppo spesso la scena a un approccio superficiale e svagato.

La storia vede Paolo (Pif) morire in un incidente stradale e trovarsi catapultato nell'aldilà, in un centro smistamento anime che pare avere molto in comune con certi disorganizzati uffici pubblici. Scoperto un errore di calcolo, la sua dipartita viene procrastinata di 132 minuti (la durata del film) e così l'uomo viene rispedito a casa, tra amici e familiari che però saranno all'oscuro di tutto.

Fino a qui la parte più riuscita del film, talmente convincente da lasciar pregustare che i minuti a seguire siano una sorta di rifacimento de "Il paradiso può attendere" occhieggiante a Woody Allen. Invece inizia una lunga commistione di flashback e tempo presente, in cui piccole ossessioni e interrogativi paranoici sono accostati a momenti passati di una qualche salienza. Emergono i molteplici difetti del protagonista, mancanze che lo rendono un uomo medio nella peggiore accezione del termine, tra relazioni extra coniugali, tifo per la propria squadra, insofferenza al traffico e sporadica partecipazione alla vita di casa. Un individuo che asseconda la propria natura stralunata, trascura gli affetti e passa il tempo a porsi quesiti del tipo: "la luce del frigorifero si spegne veramente quando lo chiudiamo? Perché il primo taxi della fila non è mai davvero il primo? Perché il martello frangi-vetro è chiuso spesso dentro una bacheca di vetro?". Sulle prime la cosa fa sorridere, poi però diventa disturbante osservarlo continuare a indulgere con mollezza sui propri aspetti più immaturi. Attraverso la voce fuori campo di Pif, che racconta cosa passi nella testa del suo personaggio, scopriamo che nell'uomo la consapevolezza dei propri reiterati errori non genera il minimo pentimento: resta a suo agio tra compromessi di coppia e incombenze quotidiane fino all'ultimo minuto a disposizione, compresi quelli da redivivo. L'infantilismo dichiarato di questo padre di famiglia ha poco a che fare con la naturalezza poetica che ha animato in passato pellicole come "Il magico mondo di Amelie". Un uomo con tali debolezze avrebbe potuto creare empatia nel pubblico se il suo ritratto fosse stato meno sterilmente assolutorio: l'inadeguatezza è gradevole fino a quando non si cerca di farne un vanto, altrimenti si rischia, come in questo caso, di mettere in scena un bilancio esistenziale che vorrebbe apparire divertente e invece finisce con l'immalinconire.

Candido disimpegno e buonumore immotivato la fanno quindi da padrone in un film che, a giudicare dal titolo, avrebbe potuto porre l'accento sui momenti piccoli eppure speciali della vita anziché perdersi in una girandola di idiosincrasie e paradossi.

"Momenti di trascurabile felicità" suggerisce, in

maniera blanda, di rivalutare l'importanza di ogni istante e che a contare davvero siano le cose che diamo più per scontate. Il problema è che questi spunti restano solo un piccolo corollario dalla potenzialità inesplorata.

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