Venezia - Ha 81 anni ma scherza e gioca come un bambino sotto quegli occhi vivaci, gli occhialetti tondi e il pizzetto bianco. Anche se, rivela, «quando disegno non ho mai pensato ai bambini, ho avuto sempre bene in mente noi adulti che, in fondo, rimaniamo piccoli». Ecco allora che prendono un'altra forma, anche più compiuta, le immagini create da uno dei più grandi disegnatori del pianeta, Guillermo Mordillo Menéndez, argentino di Villa Pueyrredón, quartiere dalle case basse della città di Buenos Aires, che, dopo un lungo peregrinare in giro per il mondo - Perù, Stati Uniti, Spagna e Francia - ora è finito per essere un cittadino di Monaco.
Nato da una famiglia di emigranti spagnoli, Mordillo ha cominciato giovanissimo la sua attività di illustratore, pubblicitario e vignettista trasformandosi nel cartoonist più pubblicato in assoluto negli anni '70 grazie ai suoi inconfondibili omini stampati su quaderni, diari, poster e capi d'abbigliamento.
Mentre ora - racconta a Venezia a «Cartoons on the Bay» che ieri gli ha consegnato il premio Pulcinella alla carriera - si rimette in gioco con un lungometraggio in 3D: «Lo sto realizzando in Germania, Paese che insieme all'Italia mi ha dato più soddisfazioni. Protagonisti sono i miei animali. Anche se non amo gli occhialetti, sono molto curioso di vedere la mia giraffa che parla. Lo vuole la produzione, sarà la prima volta». Una rivoluzione per chi è entrato nell'immaginario collettivo con disegni caratterizzati dall'assoluta assenza delle parole. «E il motivo è presto detto perché quando sono arrivato a Parigi nel 1966 non conoscevo la lingua. Ecco come sono nate le mie vignette senza parole». Che hanno subito conquistato anche i più cinici con l'utilizzo ironico degli sport come il calcio (indimenticabili i campi da gioco costruiti in cima a inaccessibili colline o sui grattacieli), gli animali amorevoli (le giraffe dal collo lunghissimo).
Ma una ricetta Mordillo non ce l'ha: «Tutto è nato naturalmente, senza premeditazione, il primo disegno che ricordo è stato a due anni. Ora sarò arrivato a duecentomila bozzetti. Ma sono sempre stato lento, non ho mai avuto facilità nel disegno». Non è falsa modestia, piuttosto si tratta di una dimostrazione di serietà nel lavoro che forse oggi non esiste più. Con una cura spasmodica nell'esecuzione dei particolari, nella forza dei colori quando pochi vignettisti lo usavano. Tanto che il ricordo dei primi anni americani non è tra i più piacevoli: «A New York ho lavorato a Braccio di Ferro ma era un'animazione limitata, è stata una grande disillusione». Mentre ciò che ha voluto trasmettere attraverso il suo lavoro è «l'idea di un mondo felice che è possibile». «Anche se so che si tratta di un'utopia. Sono cosciente della sofferenza del mondo anche perché in una terra felice non ci sarebbe bisogno dell'umorismo. Ma questa rimane una delle mie grandi paure perché la costante della storia del mondo umano, da Caino e Abele, parla della morte che ci procuriamo».
Ecco spiegate le tante sue vignette sull'amore, «molto diverso da quello dei ragazzi d'oggi perché quello che ho conosciuto io era più pudico, intimo e credo più romantico», mentre la sfera religiosa non sembra essere rappresentata: «Sono nato in famiglia cattolica non praticante ma non sono mai stato né religioso né ateo. A 56 anni ho capito di essere agnostico, sono sempre alla ricerca della verità che è come la carota per l'asino». Ma per il connazionale Papa Francesco fa un'eccezione: «È un uomo straordinario. A parte che è la prima volta che c'è un pontefice più giovane di me, Bergoglio mi sembra una persona autentica che si rapporta con i diseredati. Non sono un papista ma lui mi piace anche perché giocava da bambino per le strade di Buenos Aires proprio come facevo io.
La sua unica pecca è tifare per il San Lorenzo mentre io tengo per il Ferro Carril Oeste». Inevitabile quindi finire con il parlare anche di un altro conterraneo: «Maradona è un grande giocatore ma si crede Dio e, come ho detto, io sono agnostico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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