Nel "Labirinto Stasi" le vite degli altri sanno più di romanzo che di storia

Le drammatiche vicende di tre giovani vittime del regime comunista della Ddr

Non può essere un caso. Gianluca Falanga è storico da tempo residente a Berlino e dalla sua ha un lavoro pluridecennale sulla storia del Muro di Berlino e sulla Stasi, il ministero per la Sicurezza di Stato della Ddr, la Germania comunista esistita tra il 1949 e il 1990. Uscendo ora con questo suo nuovo libro sul tema, Labirinto Stasi. Vite prigioniere negli archivi della Germania Est (Feltrinelli, pagg. 414, euro 22), Falanga aveva ben presente la data del 17 giugno 2021, giorno in cui, nella memoria della rivolta degli operai di Berlino Est nel '53, in Germania sarebbe stato chiuso il BStU, l'autorità federale di registrazione dei documenti prodotti dalla Stasi sui cittadini tedesco-orientali fino al 1989. Nei trent'anni trascorsi dalla riunificazione sono state milioni le richieste di consultazione pervenute al BStU da ex cittadini tedesco-orientali, desiderosi di sapere quale fosse il controllo esercitato dal regime sulle loro persone, sui loro cari e conoscenti. Fondata sulla delazione, la Ddr ha prodotto una documentazione infinita sulle «vite degli altri», per citare il noto e bellissimo film di Florian Henckel von Donnersmarck del 2006: materiale cartaceo, foto, diapositive, video, nastri sonori.

Labirinto Stasi, per quanto siano drammaticamente avvincenti le storie che vi si narrano, soffre di scelte per niente convincenti. «Ho raccolto le testimonianze di Baldur, Gilbert e Andreas in una serie di incontri e conversazioni avvenuti a Jena e Berlino nel dicembre 2019». Così scrive lo storico in una brevissima postfazione al libro. Gilbert fu condannato a due anni di carcere per aver prodotto e raccolto documentazione fotografica sui gruppi punk di Berlino Est; Baldur, tipografo in Turingia, visse recluso per tre anni per aver letto 1984 di George Orwell; Andreas, i cui documenti Falanga rende per la prima volta pubblici, dopo un fallito tentativo di fuga venne arrestato nel 1982, finendo per scoprire solo nel 1992 di essere stato spiato per anni dal padre.

Queste le vicende, emblematiche per intendere quanto illiberale, assurdo e diffuso capillarmente fosse il regime costruito in quella Ddr che ancor oggi qualcuno sostiene non essere stata una dittatura, bensì un meraviglioso progetto di società perfetta purtroppo miseramente fallito.

Infelice, se non fallita, è la forma scelta da Falanga per questo libro, che, diviso in 26 capitoli, si presenta di fatto come un ibrido, tra parti romanzate (o comunque affidate alla vena narrativa dello storico), inserti documentari (con tanto di indicazione delle fonti in nota) e testimonianze personali dei citati Baldur, Gilbert e Andres (qualche volta tra virgolette, supponiamo, talvolta tradotte da Falanga). A complicare la lettura, la decisione di alternare le tre storie, creando così un intreccio in stile romanzesco che alla fine serve solo a distrarre il lettore dal nucleo terrorifico posto a fondamento del regime.

E se riprendiamo la citata, smilza postfazione di Falanga del tutto inutile quanto ad aiuto per l'approccio al libro, laddove ringrazia le tre vittime della Stasi per avergli «consentito di rovistare nel loro passato» e dice di sperare di «aver interpretato e riprodotto fedelmente», viene il sospetto che la sua intenzione fosse proprio e semplicemente quella di romanzare, dunque di rendere più invenzione che storia quanto subìto da milioni di tedeschi orientali durante i 42 anni di regime comunista.

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