Dopo l’acclamato "Get Out", Jordan Peele torna con un secondo horror e dimostra quanto il successo del film d'esordio non sia stato casuale.
Molto più serrato della pellicola precedente, "Noi" (titolo originale "Us", non a caso come la sigla di United States), è un'opera ipertestuale che appare allo stesso tempo elegante e brutale.
California. I coniugi Wilson, Gabe (Winston Duke) e Adelaide (Lupita Nyong'o), si trovano nella casa di villeggiatura con i loro figli, Zora (Shahadi Wright Joseph) e Jason (Evan Alex), e decidono di trascorrere una giornata sulla spiaggia di Santa Cruz insieme agli amici (Tim Heidecker e Elizabeth Moss). Adelaide è in difficoltà perché proprio in quel luogo, da bambina, subì un trauma che la fece chiudere nel mutismo. La sera stessa i Wilson si accorgono della presenza, nel vialetto di casa, di quattro sagome che si tengono per mano. Scopriranno che sono persone fisicamente identiche a loro e che li aspetta una notte terrificante.
Siamo in un horror fedele ai codici di genere ma anche stimolante in modo originale.
Denso di riferimenti socio-culturali e pieno di simboli potenti, il film permette all'America, ma anche alla comunità mondiale, di osservarsi allo specchio.
"Noi" è un'opera fruibile a più livelli che può esser vista come un horror fine a se stesso, in questo caso in grado di vivificare gli aspetti più primitivi dell'essere, oppure si può cogliere la sua natura allegorica e apprezzarla come ritratto dirompente e spietato della civiltà moderna.
I "noi" del titolo sono incarnazione del lato ombra dei soggetti originali, sono il loro doppio che non ha vinto la lotteria del destino: hanno sul volto una follia maturata a suon di soprusi ed emettono grugniti perché, per nascita, non hanno la possibilità di esprimersi (tranne Red, sosia di Adelaide). L'ingiustizia atavica che pesa su di loro li ha portati a una fissità disumana, caratterizzata da movimenti meccanici, e a garantirsi la sopravvivenza in maniera violenta.
La loro tuta arancione come quella dei carcerati, il brandire forbici che sono perfetto simbolo della somma di due parti identiche, e l'essere a una scala mobile di distanza dalla superficie (però rotta come l'ascensore sociale cui allude), sono solo alcune delle simbologie presenti nella caratterizzazione di queste strane creature.
Jordan Peele, il regista, ha un passato come attore comico che riaffiora qui nelle piccole contaminazioni ironiche di cui è disseminato il film: il senso d'inquietudine, infatti, è spesso sfumato da toni beffardi e, considerato anche l'apporto di un montaggio sonoro a dir poco interessante, dall'insieme scaturisce un turbamento raffinato.
E' nel suo duplice ruolo di madre di famiglia benestante e di sua "gemella" proveniente dal sottosuolo che Lupita Nyong' offre una prestazione sbalorditiva, in grado di stimolare nello spettatore un'empatia dolente per ambedue i personaggi, vittime, come i loro simili, del gap di opportunità esistente tra loro.
Viene naturale riflettere su come le ragioni e le colpe stiano da entrambe le parti di quello che si va modellando come uno scontro di natura apocalittica tra privilegiati e sfortunati. Il terrore viscerale che emerge da quest'acquisizione colpisce in maniera superiore a quello destato dalle immagini di violenza.
Tra inquadrature ricercate e movimenti di macchina inusuali si arriva ad un finale il cui colpo di scena apparirà prevedibile solo agli spettatori più attenti.
Il cinema, forse non solo quello horror, ha trovato un nuovo autore di riferimento.
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