Non è mai troppo tardi per imparare dal maestro Manzi

Negli anni '60 con il suo programma alfabetizzò milioni di italiani lavorando gratis per la Rai Che gli diede soltanto il "rimborso camicia"...

Non è mai troppo tardi per imparare dal maestro Manzi

di Alberto Manzi

Alla metà degli anni Sessanta ci fu una certa trasformazione in RAI, che si avvertì anche nel settore in cui io lavoravo. Dopo cinque anni, la Puglisi rimase direttrice dei corsi, ma cambiò il direttore di Telescuola e si aggiunse un vicedirettore, così avevo tre capi. Poi cambiarono anche i funzionari: da uno diventarono quattro, finché si arrivò a una struttura burocratica tale per cui qualcuno doveva pur dimostrare di fare qualcosa, e allora cominciarono a dirmi: «Maestro, lei deve scrivere la lezione perché io la devo controllare prima, poi lei la ripete...».

Capivo che si trattava di una giustificazione burocratica, per cui io risposi: «Posso anche scrivere la lezione, voi l'approvate, ma poi io faccio come mi pare, vado a ruota libera».

«No, allora lei la deve registrare», fu la loro replica. Io non accettai; sapevo cosa voleva dire fare il programma registrato anziché in diretta, voleva dire stare ore e ore dentro lo studio televisivo a ripetere più volte la stessa cosa, non faceva per me.

Questo fu uno dei motivi che portarono alla fine del programma, ma non fu l'unico. Dopo otto anni, eravamo nel 1968, Non è mai troppo tardi aveva già svolto la sua funzione; a quel punto o si rinnovava o si chiudeva. Oltre al primo e secondo corso, io avevo fatto anche il terzo, che non era più di alfabetizzazione in senso stretto, ma serviva per allargare un po' la cultura di chi era già alfabetizzato: se c'era un terremoto o un'eruzione vulcanica in qualche parte del mondo, io parlavo di terremoti e di vulcani, facevo un po' di storia, di geografia, per dare a quelle persone il gusto di voler scoprire e imparare anche al di fuori dell'insegnamento scolastico. Era inutile ormai fare l'abbicì: il passaggio doveva essere verso un corso di educazione permanente. Feci una proposta alla RAI e mi dissero che ci avrebbero pensato. Infatti, realizzarono Sapere, ma non capirono che era a un livello culturale troppo alto per il tipo di pubblico che io intendevo.

Poi ci fu un ulteriore problema, di tipo economico, perché la RAI aveva venduto il programma ad altri Paesi. Il ministero della Pubblica istruzione voleva una parte di questa somma, sostenendo che, se la RAI aveva materialmente prodotto Non è mai troppo tardi, l'idea del programma e l'insegnante che lo conduceva erano del ministero. Su questo non si misero d'accordo e alla fine la collaborazione si interruppe.

Per rimanere sulla questione economica, devo dire che non sono mai stato pagato dalla RAI; ero un insegnante statale distaccato per fare questo lavoro e continuavo a percepire il mio stipendio di maestro elementare. Dalla RAI ricevevo duemila lire a trasmissione come «rimborso camicia», perché il gessetto nero che usavo per fare i disegni era molto grasso per cui, oltre ad avere sempre le mani sporche, si attaccava ai polsini della camicia ed era difficile da togliere; quindi dovevo comprarmi spesso delle camicie nuove. (...)

Ricordo che dopo i primi due anni, in sala regia c'erano spesso dirigenti o funzionari di reti televisive o di ministeri dell'Educazione di altri Paesi, non solo europei, che venivano a conoscere il nostro programma per la lotta contro l'analfabetismo. Per esempio, il direttore generale dell'educazione dell'Arabia Saudita stette sei mesi a seguire ogni puntata del programma.

Nel 1965 Non è mai troppo tardi vinse il premio internazionale a Tokyo come migliore trasmissione che aveva contribuito alla lotta contro l'analfabetismo, dopo che l'UNESCO, nel 1961, lo aveva considerato uno dei programmi meglio riusciti per diffondere l'alfabetizzazione. Vari Paesi lo acquistarono prendendone lo stile, il metodo e adattandoli alla loro realtà. Fra questi l'Argentina, dove poi mi chiamarono per aiutarli a costruire un programma analogo, ma utilizzando la radio.

Fu una sfida interessante quella, perché la radio arrivava ovunque, ma non aveva un elemento fondamentale, cioè l'immagine. Allora io proposi di usare il libro illustrato come strumento di supporto al programma radiofonico, facendo in modo, praticamente, che il libro diventasse il video rispetto alla voce radiofonica che guidava l'allievo dicendo, per esempio: «Apri la prima pagina. Vedi quel segno tondo che sta in alto? Si chiama 0...», e così via. Fui contento di questo lavoro, che diede ottimi risultati, tant'è vero che l'ONU premiò il governo argentino per questo programma e io stesso ricevetti dagli argentini dei segni di riconoscimento: per esempio, quando venne in visita in Italia il presidente dell'Argentina, nel 1989, fui invitato insieme ad altre personalità, e mi ringraziò.

Per tornare a Non è mai troppo tardi, poi ho saputo che il programma è stato oggetto di studi e di analisi in altri Paesi: Stati Uniti, Francia... Non mi risulta che finora in Italia ci sia stata un'attenzione particolare dal punto di vista culturale e didattico su quell'esperienza.

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