Da alcuni anni ormai si è definitivamente affermata una vera rivoluzione nel mondo del thriller grazie al contributo di autrici che hanno saputo rovesciare gli stilemi di un certo tipo di letteratura dell'inquietudine e che rispondono ai nomi di Paula Hawkins, autrice di due successi globali come La ragazza del treno e Dentro l'acqua, di Gillian Flynn che ha firmato un autentico capolavoro come L'amore bugiardo e di Ilaria Tuti che si è affermata come fenomeno internazionale grazie alla serie dedicata all'investigatrice Teresa Battaglia, tanto da riuscire a essere la prima scrittrice italiana a guadagnarsi un posto nella sestina finalista agli Edgar Awards nella sezione Sue Grafton Memorial.
Nel solco di un simile nuovo filone di ricerca letteraria, si pone oggi Non salvarmi di Livia Sambrotta, pubblicato da SEM (pagg. 384, euro 18).
Le ragioni a sostegno di una simile affermazione sono molteplici. Anzitutto perché il romanzo dell'autrice ha coraggio e ambizione da vendere tanto da non rinunciare a un'ambientazione internazionale che si articola in due principali teatri d'azione: da una parte il deserto infuocato dell'Arizona, dall'altro una Milano ritratta in tutto il proprio fascino mondano e ricercato. Per un attimo viene in mente, a chi come me ama il grande thriller italiano, il doppio registro narrativo di Fuori da un evidente destino di Giorgio Faletti, tra i più popolari e formidabili autori di thriller dell'ultimo quarto di secolo. Ma non sono solo il coraggio e l'ambizione delle location a fare di Non salvarmi un vero e proprio thriller internazionale. Fin dalla logline in quarta di copertina, infatti, si intuisce quanto originale e spavaldo sia il progetto letterario sotteso al romanzo in questione e infatti vi è scritto: «È la legge di Hollywood: la fama finisce sempre per divorare i suoi figli». Impatto e inquietudine: è questa la formula vincente di Livia Sambrotta e saranno proprio questi gli elementi portanti di una trama costruita con grande intelligenza, capace di regalare colpi di scena continui, in grado di non perdere mai il ritmo e, così facendo, di inchiodare il lettore alle pagine, seducendolo e condannandolo non mi viene in mente un termine migliore a leggere fino a quando il romanzo non sarà finito. Fra l'altro è proprio in quella logline che si trova il significato profondo del romanzo, come se, dopo tutto, ogni tassello, ogni dettaglio, ogni rivelazione non fosse altro che il naturale sviluppo di quel punto di partenza.
Ma procediamo con ordine. Tutto comincia a Wickenburg, in Arizona presso un ranch, trasformato in centro di recupero per ragazzi con problemi di dipendenza da stupefacenti, alcol, sesso e psicofarmaci. Qui essi vengono curati con il metodo degli Alcolisti Anonimi combinato all'ippoterapia, la cura quotidiana dei cavalli. I pazienti oltre alla giovane età hanno un altro elemento comune: sono tutti figli di magnati del mondo dello spettacolo, padri e madri di fama e successo, talmente dediti alla celebrazione del proprio culto personale da relegare i figli in un inferno di assenza, frustrazione, aspettative tradite che nessun patrimonio sembra poter lenire.
Ed è dal ranch che Deva Wood, una ragazza italoamericana bella e gentile, sembra essere fuggita e scomparsa nel nulla. Proprio lei che pure pareva aver reagito meglio degli altri ospiti alla terapia e alle regole che Karl Jones, fondatore della clinica e ex produttore cinematografico di successo, ha messo a punto. È proprio quella fuga a rompere il vaso di Pandora e a scatenare una reazione a catena che è destinata a travolgere i tanti protagonisti di questa storia. E come nei romanzi di Paula Hawkins o di Gillian Flynn, Livia Sambrotta sfodera uno stile magistrale nell'assommare e descrivere le inquietudini, le parole taciute, l'incomunicabilità, le piccole invidie, i traumi del passato, tratteggiando un po' alla volta mille nuovi dettagli che in principio ci erano sfuggiti o semplicemente mancavano, e che, alla fine, troveranno gli incastri perfetti. Non incontrerete profiler o geniali anatomopatologi, in questa storia, ma il male di vivere, semplice e spietato, con tutto il suo carico di dolore e devastazione. Ne esce una galleria di personaggi tanto più affascinante perché reale, come reale ed esistente è la clinica ranch nel deserto dell'Arizona. Ecco allora Greg Wood, il padre di Deva, spietato tycoon dell'industria cinematografica, tanto potente quanto meschino e preoccupato che lo scandalo della fuga della figlia non finisca sui giornali, e poi lo sceriffo Ferguson, pragmatico e freddo tutore della legge, Paula Morris, compagna di stanza di Deva e giovane rampolla di Hollywood, bella da mozzare il fiato e tuttavia alla disperata ricerca di conferme affettive e poi Jim Hanley, ex marine, addetto alla sicurezza della clinica, uomo dalla volontà ferrea e pronto a tutto pur di far luce sulla verità. Già, ma qual è la verità? Ognuno sembra avere la sua in Non salvarmi, proprio come nella vita, e in una giostra degli specchi, Livia Sambrotta moltiplica le prospettive e le ipotesi, scaraventandoci nelle menti dei protagonisti e ponendoci al loro fianco mentre vivono situazioni al limite, costretti quasi sempre a scegliere se oltrepassare o meno un confine che, una volta superato, potrebbe perderli per sempre. E tutto, senza dimenticare di porre al centro della vicenda una grande, struggente, storia d'amore.
Ne esce allora un romanzo che scavalca gli steccati di genere, grazie alla profondità letteraria con cui vengono raccontati i personaggi, a un intreccio complesso e colmo di vicoli ciechi e false piste, a un nodo gordiano in cui i moventi e i desideri dei protagonisti si legano e incrociano fino a disegnare una guerra per la sopravvivenza che
non mancherà di far vittime. Per queste ragioni, dunque, Non salvarmi è destinato a conquistare il cuore dei lettori e a inserirsi di diritto nel solco di quei romanzi capaci di rivoluzionare il genere thriller in Italia.
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