La comicità involontaria degli scrittori da social

Usano Instagram per beghe politiche, pose eroiche, foto col filtro. Va tutto bene. Purché non scrivano...

La comicità involontaria degli scrittori da social

Io i libri degli autorini dei salotti letterari ormai non li guardo neppure più, se li conosci li eviti, come diceva una volta la pubblicità sull'AIDS, ma quello che fanno sui social me lo guardo sempre, sono esilaranti. Perché i social sono lo specchio dell'anima (l'anima non esiste ma è per capirci). Prendete la Murgia, nel suo ultimo post su Instagram ci tiene a dire che non bisogna dire la Murgia, perché «applicare a un nome di donna l'articolo determinativo significa comportarsi con un nome di persona come ci si comporterebbe con un nome di cosa». Dopo aver proposto di cambiare la patria in «matria», adesso non le va bene neppure la Murgia, sebbene poi voglia tutto declinato al femminile. È divertente perché vi rendete conto di quanto la Murgia sia verace, Murgia anche dentro. No, non la Murgia, perdonate, Murgia e basta, altrimenti è una cosa, non una persona vivente. Sebbene il capolavoro horror di John Carpenter si intitolasse La cosa, e era viva, però faceva meno paura agli uomini maschi della Murgia, io ogni volta che sento un suo discorso voglio essere gay per tutto il resto della vita.

Meno male che c'è come antidoto Giuseppe Culicchia, account Instagram molto sobrio, libri e selfie composti, eleganti, non murgiani, un suo recente post è tratto dal suo ultimo libro E finsero felici e contenti (Feltrinelli) e sembra rispondere proprio alla Murgia, al Murgia, a Murgia, insomma a quello che è: «Se dobbiamo chiamare assessora una donna, il mio dentista uomo devo chiamarlo dentisto?». Bella domanda, ma se non hai un Murgia come dentista chiamalo come vuoi Giuseppe.

L'Instagram di Gianrico Carofiglio invece è di una tristezza, ma di una tristezza, che ti mette allegria, perché ti dici: meno male non sono così anche io. Foto di Carofiglio tutto vestito come un magistrato in vacanza premio che ride in riva al mare senza che ci sia dato sapere cosa avrà da ridere, foto di cactus, una foto del Colosseo tipo guida di Roma, non sa nemmeno lui che cavolo postare, e pure la foto di un cartello di un giornalaio meridionale scattata durante il lockdown che avverte che lì non si vende Libero, con didascalia di Carofiglio: «Applausi per l'edicolante», bella idea di libertà di stampa, complimenti. Ma che me ne frega, tanto Carofiglio mica è figlio mio. Certo immaginate se lo avesse detto uno di destra, che un'edicola che si rifiutava di vendere il Manifesto andava applaudita, veniva giù il mondo, l'ANPI, le murge, tutto.

D'altra parte i fascisti ci sono e i comunisti non ci sono più, neppure quando si sciolgono d'amore per l'Armata Rossa. Tipo Alessandro Robecchi, che ha tutte foto imbronciate, una su un balcone con dietro le montagne, neppure fosse Thomas Bernard o Thomas Mann o un Thomas qualsiasi, l'altra in bianco e nero che sembra la foto segnaletica di un brigatista, ma la più bella è la foto di un soldato sovietico a Berlino con sotto braccio la testa di una statua di Hitler: «So che la foto più bella è quella della bandiera sovietica sul tetto del Reichstag, ma a me piace più questa: la faccia felice, incredula, non più impaurita, del compagno ufficiale Yevgeniy Dolmastosky, con il suo trofeo in mano». In effetti è proprio una foto educativa, quella di un soldato di una dittatura che fino a cinque anni prima si era alleata con i nazisti e che da lì in avanti spingerà persone innocenti e dissidenti nei gulag, ma mai che ti postino una foto del patto Molotov-Ribbentrop, per carità.

Nicola Lagioia ha un bel profilo Instagram, d'altra parte siamo tornati amici e non ne parlerei male in ogni caso, e se siete angosciati vi consiglio di farci un giro, a me Lagioia mette gioia, ha tutto un suo modo di riconciliarsi con il mondo, è solare, sereno, e sa muoversi su piani diversi, può conversare con Loredana Lipperini e con me senza problemi, ha un bellissimo gatto che si chiama Lunedì e una bellissima compagna che è anche un'autrice, Chiara Tagliaferri, la quale ha l'unico difetto di aver scritto un libro col Murgia (nel caso andiate sul profilo della Tagliaferri siete avvisati).

Da sganasciarsi dalle risate è l'Instagram di Alessandro Baricco, nella descrizione dice «Sono proprio io (sul serio), quello dei barbari, di Novecento e degli altri», ma dai, e lo dici pure. Nelle storie in evidenza c'è una storia di Baricco che fotografa un suo libro in tutte le stanze della sua casa, sul televisore, nella lavatrice, ovunque, tranne sotto la zampa di un tavolo dove ce l'ho io. Sandro Veronesi non ha Instagram ma su Twitter è preoccupato per i robot. Posta un video di un arabo con un bodyguard robot e domanda: «Se questo uccide, chi è il responsabile?». Gli fanno notare che il robot è finto ma lui insiste: «Ok, grazie, ma quando esisterà un robot del genere di chi sarà la responsabilità?». Altro che colibrì, John Connor è già tra noi.

Ma ancora più imperdibile è Roberto Saviano, basta vedere la sua foto sotto il pergolato di rose: posa da Instagram, filtro

d'ordinanza, sfondo sfuocato al punto giusto, sguardo tenebroso, lui che scrive «continuo a amare solo rose non colte... che non coglierò», si capisce che ambisce a essere figa e influente come Chiara Ferragni. Di certo non punta al Murgia.

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