Pausini ricanta i suoi successi: "I miei concerti come a teatro"

La popstar celebra 20 anni di carriera con un doppio cd: "Sono istintiva, non potrei mai fare il cantautore"

Pausini ricanta i suoi successi: "I miei concerti come a teatro"

Macché, niente da fare, lei non si ferma neanche a prender fiato. Parla e parla perché oggi le va così: all'Armani Hotel festeggia venti anni di carriera presentando un greatest hits a modo suo, visto che è sostanzialmente un disco nuovo. I suoi successi. Ricantati riarrangiati rimasterizzati. I duetti incamerati in tutti questi anni, da quello con Charles Aznavour fino a Bublé, Bocelli, Ray Charles. E tre inediti, due firmati da Virginio Simonelli (compreso il singolo Limpido, in duetto con Kylie Minogue) e uno dal sempre più incisivo Niccolò Agliardi (Se non te). «Per me la musica è una forma d'istinto, io non parlo colto, non potrei essere un cantautore», dice lei con un abito che omaggia Bianca Jagger («Quando l'ho vista ho detto: oh cavolo, voglio vestirmi così e l'ho chiesto al signor Armani») e la solita esuberanza che gronda positività da ogni parola. «Il mio sogno era di fare pianobar come mio padre e, forse, se quel giorno non mi avessero invitato al Festival di Sanremo per cantare La solitudine, l'avrei davvero fatto per tutta la vita».

Poi una mattina, mentre era a scuola, arriva la bidella che intima: «La Pausini al telefono, c'è suo padre che piange». Aveva ricevuto la convocazione per il Festival. «Perciò ho voluto farmi un regalo e ho chiesto a Ennio Morricone di rifare l'arrangiamento. Lui mi ha risposto: “Ah, la canzone del Marco? Lo faccio volentieri, richiamami domattina sul prestino”. Pensavo alle 9 o alle 10, ma ha precisato: “No, facciamo le 6, massimo 6 e mezza”».
Alla Pausini brillano gli occhi per contratto con la vita. E quando parla di musica le si infiammano addirittura. «Nel giorno del mio ottavo compleanno, sono salita sul palchetto dove suonava mio padre e ho iniziato a cantare “Dolce Remi, piccolo come sei”. Mio padre disse: è ciò che vuoi fare, vuoi cantare? Ho risposto di sì e per dieci anni l'ho fatto tutte le sere». Per stare di fianco a sua moglie che attendeva Laura (dopo tre maternità finite male), Fabrizio Pausini ha rifiutato di suonare con i Pooh e forse, come spiega lei, «il mio successo è una sorta di risarcimento per la sua scelta d'amore». E, in fondo alla sala, il «babbo» sorride appena, modesto com'è. L'ha accompagnata in mezzo mondo sin dalla prima volta in Sudamerica, «quando siamo atterrati c'erano tanti fotografi e io pensavo che stessero aspettando uno molto famoso.

Dopo esser scesa, ho capito che aspettavano me: allora mica c'era internet, e io non sapevo di aver avuto successo lì». Ora nel mercato sudamericano è talmente di casa che per la rigida classificazione discografica non rientra più nel repertorio estero ma in quello «local» riservato agli artisti madrelingua: «Sono con Shakira, Ricky Martin e Bosé, un onore». Adesso che celebra i vent'anni di vita «cantando non nel pianobar», la Pausini inizia un altro giro del mondo: la prossima settimana è a Las Vegas ai Latin Grammy Awards, poi torna in Italia per iniziare il tour l'8 dicembre a Roma (a Pesaro il 5 la prova generale), fermarsi poi a Milano dal 16 al 21 e arrivare fino a Toronto il 9 marzo. Avrà un palco che «farà sentire il pubblico come a teatro.
Per ora solo venti concerti perché voglio vedere come reagisce mia figlia Paola». Altra fiammata negli occhi: «Pensavo non avrei mai avuto figli e diventare madre quando non te lo aspetti più è un miracolo». Piccola commozione, meglio parlare di musica.

«Queste sono le canzoni che mi piacciono anche se so che a qualche giornalista non va a genio» dice lei quasi a sottolineare con garbo che, insomma, non è da tutti

riempire l'arena da concerti più famosa del mondo, il Madison Square Garden di New York prenotato per lei il 6 marzo. D'altronde, si sa, è tipico di tanti italiani non valorizzare l'italianità quando se lo merita davvero.

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