La pelle, il senso di solletico e la nascita della coscienza

Il neuroscienziato Vallortigara spiega il meccanismo biologico che determina la consapevolezza di se stessi

La pelle, il senso di solletico e la nascita della coscienza

La superficie del corpo, la pelle, è il tema di quest'anno al Festival della Spiritualità a Torino, dove racconterò qualcosa a proposito del solletico e della coscienza.

C'è questa frase di Freud che mi piace molto: «L'Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo». Perché il senso dell'identità dovrebbe derivare dalle sensazioni che provengono dalla superficie del corpo? E che cos'ha a che fare tutto ciò con il solletico?

Ho scritto un libretto su questi temi, che ha un titolo un po' bislacco - Pensieri della mosca con la testa storta (Adelphi) - il cui significato si palesa solo attorno a pagina centotredici, quando viene descritto un esperimento condotto nel 1950 dal neuroscienziato Erich von Holst assieme al suo studente Horst Mittelstaedt. L'esperimento prevedeva di ruotare di centottanta gradi la testa di una mosca drone (quelle mosche che emulano l'aspetto delle api) per studiarne le risposte visuo-motorie. L'esperimento condusse all'idea di «copia efferente»: ogni volta che un animale compie un'azione, il comando motorio che parte dal sistema nervoso viene inviato, oltre che ai muscoli, in copia carbone anche al sistema sensoriale stesso, per allertarlo di quelle stimolazioni che sono prodotte dal movimento dell'animale medesimo. Questa fondamentale distinzione tra quello che accade al corpo come risultato di un movimento attivo in opposizione a quello che accade come risultato dell'incontro passivo con uno stimolo potrebbe rappresentare la fonte di innesco dell'esperienza cosciente.

L'argomento si sviluppa a partire da un'idea che risale al filosofo scozzese del Settecento Thomas Reid, che parlava di una «doppia provincia dei sensi»: ciò che accade a me e ciò che accade là fuori. Diceva Reid: «I sensi esterni hanno una doppia missione: farci sentire e farci percepire. Ci forniscono una varietà di sensazioni, alcune piacevoli, altre dolorose e altre indifferenti; allo stesso tempo ci danno una concezione e una convinzione invincibile dell'esistenza degli oggetti esterni».

Nel Saggio sui poteri intellettuali dell'uomo Reid afferma che «Quando annuso una rosa, c'è in questa operazione sia la sensazione che la percezione. L'odore gradevole che sento, considerato di per sé senza relazione con alcun oggetto esterno, è solo una sensazione... La sua stessa essenza consiste nell'essere sentito; e quando non si sente non lo è. Non c'è differenza tra la sensazione e il sentimento di essa - sono la stessa cosa». In breve, secondo Reid, la sensazione equivale a ciò che chiamiamo esperienza cosciente, mentre la percezione è la concezione (invincibile) dell'esistenza dell'oggetto esterno, che non abbisogna però di essere cosciente.

Quest'idea è stata ripresa dal brillante neuroscienziato britannico Nicholas Humphrey con la prima individuazione di una condizione neurologica, nota come vista cieca (o blindsight), nella quale un organismo può fornire un'appropriata risposta motoria a uno stimolo (quindi percependolo) negando allo stesso tempo di avere un'esperienza cosciente dello stimolo stesso (quindi senza sentirlo).

Il momento in cui si pone la necessità di una distinzione tra le cose che accadono a me, sulla superficie del mio corpo, al confine tra me e non me, e le cose che accadono là fuori è legata negli organismi biologici alla comparsa del movimento. Provate a pensare a quando muovendo un dito andate a incontrare un oggetto o alla condizione in cui invece il vostro dito viene passivamente stimolato dall'oggetto. Localmente la stimolazione tattile è la medesima: non c'è modo, sembrerebbe, di distinguere le due condizioni. In realtà il modo c'è, viene fornito appunto dal meccanismo di copia efferente ed è poi la ragione per cui non possiamo farci il solletico da soli. Quando siamo noi stessi a stimolarci, per esempio toccando con un dito la pianta del piede o l'incavo di un'ascella, il segnale efferente in copia carbone relativo al nostro stesso movimento provvede a cancellare la sensazione di solletico, che non può invece essere cancellata da alcuna copia efferente se il movimento che conduce alla stimolazione è stato compiuto da qualcun altro. Insomma, aveva ragione Renato Rascel quando osservava che il solletico va fatto al cervello, non sotto le ascelle.

Capire in che modo esattamente il meccanismo di copia efferente possa produrre l'esperienza cosciente richiede la lettura di qualche pagina del libro, ma in breve l'idea è la seguente. Fino a qui abbiamo concepito il segnale efferente (che è motorio in origine) come qualcosa che va confrontato con il segnale sensoriale. Ad esempio, come mai quando muoviamo gli occhi non vediamo il mondo che si sposta? In fondo la situazione non è dissimile da quella in cui sulla superficie della retina si sposta l'eccitazione prodotta sui fotorecettori da uno stimolo esterno in movimento, mentre gli occhi stanno fermi. La ragione è che quando i muscoli dell'occhio (extraoculari, si chiamano) ricevono il comando motorio per contrarsi o rilasciarsi, lo stesso segnale in copia carbone giunge a un comparatore che valuta il segnale di scorrimento della stimolazione sulla retina. Se lo scorrimento è prodotto dal movimento dei muscoli extraoculari la sensazione viene cancellata. Infatti, se questi muscoli vengono bloccati farmacologicamente, quando il cervello invia il comando motorio la sensazione che prova il paziente, assai sgradevole, è che l'ambiente attorno a lui stia ruotando.

Immaginiamo tuttavia che in origine la risposta degli organismi agli stimoli consistesse in una reazione locale sulla superficie del corpo. Questa reazione corporea, in quanto azione motoria, potrebbe aver avuto una copia efferente associata, da confrontare non già con la stimolazione sensoriale, bensì con i movimenti attivi dell'organismo. Così quando ad esempio muovete un dito la reazione corporea locale, che sarebbe poi il vostro sentire, verrebbe annichilita dall'incontro con il comando motorio necessario al movimento del dito.

Il risultato è che non avvertite qualcosa sulla superficie del vostro corpo, bensì la presenza di un oggetto là fuori - una percezione che, come nei pazienti blindsight, sappiamo non abbisogna di essere accompagnata da un'esperienza cosciente. Al contrario se con gli occhi chiusi vi lasciate toccare un dito, avvertite che qualcosa è successo a voi, al vostro corpo. Si tratta, forse, dell'io derivato dalle sensazioni corporee di cui parlava Freud.

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