È un personaggio atipico, soprattutto nel suo approccio al jazz. Francesco Pierotti, contrabbassista di Terni, è diventato architetto ma ha deciso di mollare tutto e di passare alla dura vita del musicista dopo aver ascoltato su una vecchia musicassetta Niels-Henning Orsted Pedersen. «Da studente strimpellavo qui e là la chitarra - racconta Pierotti - poi, casualmente, ho ascoltato una cassetta, ora credo non esistano più, di Oscar Peterson, Nigerian Market Place, e rimasi affascinato dal corposo eppur delicato suono di contrabbasso di Pedersen, da allora ho capito che quella sarebbe stata la mia vita».
Insomma ascolti un re del piano jazz come Peterson e in sottofondo (si fa per dire) scopri un talento naturale come Pedersen. Ci vuole occhio e soprattutto tanto orecchio per rimanere folgorato da uno strumento così complesso (soprattutto nel jazz) come il contrabbasso. Così Pierotti ha messo (provvisoriamente) da parte la musica classica (che ha studiato), gli amori del passato («da Jimi Hendrix a Michael Jackson ho tanto rock e pop nel cuore») ed ha intrapreso la faticosa carriera del jazzman di professione, che lo ha portato a incidere in trio (con Enrico Zanisi, pianista vincitore del premio Top Jazz come miglior nuovo talento italiano e Fabio D'Isanto alla batteria) l'album d'esordio A!, in uscita a maggio. Ares Tavolazzi, uno che con il basso ha percorso tutte le strade, dal rock progressivo agli Area alle collaborazioni con Mina, Guccini e recentemente in duo con la vocalist Maria Pia De Vito ha detto di Pierotti: «Mi fa molto piacere constatare che in questo Paese, in cui si fa così fatica ad affermare la qualità, esistano giovani esempi luminosi». Ma Pierotti non si monta la testa. «Il jazz per me è vita, è l'unica forma musicale che ti consenta di andare aldilà dei limiti precostituiti, insomma ti permette di essere libero. Ma io vado avanti passo dopo passo. Non mi sento ancora neppure un professionista se penso ai miei idoli, giganti come Charlie Mingus, Jimmy Blanton, Scott LaFaro, Paul Chambers».
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