Pino Aprile aggiorna "Terroni" e chiama a testimone il virus

Il presunto fallimento nella gestione dell'emergenza è il pretesto per minacciare (nuovamente) la secessione

Pino Aprile aggiorna "Terroni" e chiama a testimone il virus

Quello uscito a firma di Pino Aprile con il titolo Il male del Nord. Perché o si fa l'Italia da Sud o si muore (Pienogiorno, pagg. 175, euro 16,90) può apparire un instant-book sulla pandemia. In realtà, il pamphlet è un'altra, ennesima, riformulazione delle tesi di Terroni, solo che ora il Coronavirus è sfruttato per sostenere la tesi che di fronte all'emergenza il Nord è stato pessimo e il Sud eccellente.

Il volume dedica tante pagine al fallimento di un Nord che, in fondo, dinanzi al virus avrebbe mostrato tutta la sua inefficienza. Uno degli epicentri non è stato forse quel Trivulzio da cui partì l'inchiesta di Mani Pulite? Tutto torna. Il Nord riempitosi di bare ha avuto, in fondo, quel che era inevitabile. L'altro aspetto su cui Aprile insiste è l'eccellente prova offerta dalle istituzioni regionali di Campania e Puglia di fronte all'emergenza, oltre che di quei sistemi sanitari. Al di là di questa vittoria schiacciante (pochi morti al Sud, tantissimi al Nord), ad Aprile è altro che interessa. Come già nei libri precedenti, all'autore preme soprattutto evidenziare come troppi segnali ormai ci mostrino quanto «lo squilibrato, iniquo sistema-Italia sia al capolinea, esasperato dall'ingordigia del Nord». Allora il Sud non ha soltanto vinto il derby: lo ha stravinto, dato che ha retto dopo molti decenni di sfruttamento territoriale.

Anche qui quella del Sud continuamente depauperato dal Nord è la vera tesi del libro. Aprile ha ragione quando ricorda che l'unificazione italiana fu una criminale guerra di conquista, ma mescola tutto ciò con mille altre cose. Ad esempio, afferma che la relativa prosperità goduta dalle popolazioni settentrionali nei decenni passati sarebbe stata conseguente al fatto - come disse il ministro Provenzano - che Milano e il Nord prendono e non danno. Quel benessere non poggiava allora sul tessuto delle piccole imprese e neppure sull'ingegno di Caprotti, Del Vecchio o Ferrero. No. Se nel Settentrione si è avuta una certa agiatezza è perché si è sfruttato il Mezzogiorno. Attenzione: Aprile non sottolinea - come sarebbe giusto - che l'interventismo pubblico crea enormi opportunità per gli imprenditori che vivono all'ombra della politica, ma colloca l'intero Settentrione entro questo schema.

Sullo sfondo c'è non soltanto un'evidente antipatia verso quanti vivono a una certa latitudine, ma anche un'opzione socialista. E in effetti perfino l'Italia giallo-rossa appare ad Aprile come iper-liberista. Così nelle sue pagine il rapporto tra Nord e Sud d'Italia evoca la stessa relazione tra Nord e Sud del mondo della letteratura terzomondista. In entrambi i casi i ricchi prosperano e i poveri declinano, «al punto che il club dei super-ricchi diviene sempre più esclusivo e se appena qualche decennio fa poche migliaia di paperoni avevano la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale, oggi è una mezza dozzina di loro a possedere altrettanto».

Fin qui siamo nell'ambito di una scrittura emozionale, che in qualche modo fa leva su una delle conseguenze più spiacevoli dell'unificazione: avere creato una tensione identitaria tra popolazioni che in passato si erano sempre rispettate e avere costruito (su questo Aprile ha ragione) un astratto modello a cui adeguarsi, estraneo alle potenzialità del Mezzogiorno. Queste pulsioni, però sono incompatibili con l'argomento cruciale.

Fin dal titolo, dopo aver maledetto (con moltissime ragioni!) l'unificazione della penisola e dopo aver versato fiumi di bile su lombardi e veneti, Aprile ripropone la medesima ricetta: «O si riparte dal Sud e dall'uguale diritto per tutti o la prossima tappa è la secessione». La prossima tappa? Ma come fa Aprile a immaginare di restare entro un universo così iniquo? O crede alle cose che ha scritto, e allora deve pretendere l'immediata secessione, oppure l'intero volume non ha alcun senso. Sarebbe come se gli schiavi neri delle piantagioni si fossero rivolti ai loro padroni, a metà Ottocento, dicendo che o alla svelta gettavano le fruste, oppure si sarebbero ribellati No: di fronte a un'istituzione tanto ingiusta c'è solo la strada dell'abolizionismo.

D'altro canto, egli è contrario pure a modeste forme di autogoverno, dato che «con l'Autonomia differenziata, le Regioni ricche puntano ad arricchirsi ulteriormente, sottraendo ancora alle più povere oppure mirando alla secessione per non dividere con chi ha meno». Insomma, nella visione politica di Aprile il Nord usa l'Italia per sfruttare il Mezzogiorno e la risposta a tutto questo sarebbe una strenua difesa della Repubblica unitaria d'impianto giacobino.

Alla fine, nonostante gli attacchi all'Italia «matrigna», con questo volumetto Aprile appare davvero il prototipo dell'italianità: di quella mancanza di rigore e coerenza che tanti, da fuori, giustamente ci rimproverano.

Per fortuna nel Mezzogiorno c'è moltissima gente che si rende perfettamente conto come sia proprio il comunismo territoriale difeso da Aprile a distruggere il Sud, dato che solo l'autogoverno implica responsabilità, riduzione del potere politico, fine di ogni illusione statalista.

Il Mezzogiorno non si merita questa confusione di idee e per questo fa bene - nella sua maggioranza - a tenersi lontano da tesi tanto discutibili.

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