Maurizio Battista è alle prese con una nuova impresa televisiva, Poco di tanto, da dopodomani per tre settimane in prima serata su Rai2. È un affresco nostalgico dei decenni scorsi, fulcro di cambiamenti mediatici cruciali. «Un esperimento, qualcosa che non avevo mai fatto prima», così ne parla il comico e attore, da sempre diviso tra tv e teatro. Un viaggio tra gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta che racconta la nostra cultura, attraverso le mutazioni della famiglia nel quotidiano. Dal ruolo della donna, al rapporto genitori e figli, al compito della tv, capace di influenzare le nostre abitudini, nonché la nostra mentalità. Tre interni e tre scenografie con ambientazioni d'epoca, contributi video e ospiti musicali. Tra stile documentaristico e monologhista, Battista cambia tono per raccontarsi in una nuova veste. E soprattutto, per raccontarci chi eravamo.
Cosa vedremo a Poco di tanto?
«Avevo in mente questo progetto da mesi, diventare una sorta di Alberto Angela che raccontasse la famiglia da vicino, come narratore. Avevamo già il cast pronto, tra cui nove attori che dovevano interpretare la famiglia, ma poi è arrivata l'emergenza Covid e in scena sono dovuto rimanere solo. Siamo andati avanti comunque, rispettando misure di sicurezza».
Ci anticipi qualche chicca.
«Nell'anteprima di ogni puntata sveliamo la macchina del decennio, nella prima sarà la Fiat 500. Poi sigla, e si entra nel classico focolare italiano. Ogni stanza è un racconto, si ride e si piange, vedrete filmati e teche Rai e due ospiti canori, considerati iconici per quel decennio. Nel '60 ci sarà Orietta Berti che cucinerà i tortellini, con Don Backy in salotto. Riccardo Fogli e Sandro Giacobbe per i '70; il mitico Gazebo, che comparirà sulle note di I like Chopin per gli '80 e Michele Zarrillo. In un clima non celebrativo, ma casalingo».
Cosa le dà questo programma?
«A 63 anni, dopo tante esperienze, ho bisogno non solo di comicità pura. Per me aumentano i ricordi e il desiderio del racconto. Abbiamo cercato di fare un prodotto di sostanza, e se a vederlo sarà un 10% o un 5% non mi lascerò condizionare. La Rai non è una tv commerciale e sa puntare sulla qualità ».
Rivedremo vecchi format, quindi.
«Citeremo programmi come Non è mai troppo tardi, del '63, con il maestro Manzi, che ha insegnato l'italiano a molti spettatori analfabeti. E altri come Intervallo, che ha avuto il compito di arricchire le nostre nozioni di geografia».
Com'è cambiata la tv secondo lei?
«Tralasciando l'aspetto tecnico, non è migliorata. Un tempo giravano nomi come Andrea Camilleri, Ugo Sciascia. Adesso chiunque fa l'autore, sono tutti autori. Come, del resto, ora in giro sono tutti virologi. Insomma, ora stiamo facendo un programma riutilizzando la tv di 40-50 anni fa. Quella di oggi dubito la riutilizzeremo un domani, spesso ha poco spessore».
Lei ha sempre scelto di mantenere un canale aperto con il teatro.
«Sì, e continuo a tenerlo. Non riuscirei più a fare qualcosa che non sento nelle mie corde, tipo partecipare a il Grande Fratello Vip, nel 2018. L'avevo preso sotto gamba. Una volta dentro mi sono reso conto che non c'entrava granché con me».
Infatti poi ha abbandonato il gioco.
«Mi mancava molto la mia famiglia. Intendiamoci, se hai bisogno di soldi lo fai, ma per fortuna non era il mio caso. Mi sembrava di buttare via il mio tempo, di rubarlo ai miei affetti. Mi sentivo centenario lì in mezzo, solo, con intorno persone che non mi interessavano. Un conto è vederle un'oretta a cena, un altro per 24 ore di fila. Ho fatto una scelta professionale sbagliata, ho sottovalutato il contesto, che non è leggero, anzi, a volte può essere anche controproducente. Basta una frase di troppo, se hai un carattere impetuoso può capitare. Puoi uscirne anche molto male, io sono stato fortunato...».
Ad oggi le è rimasto qualche sogno nel
cassetto?«Ho finito i cassetti. Il 24 e 25 settembre sarò a Broadway con una data di 30 anni e non li dimostra, a teatro a Manhattan. Da ex barista, zero scolarizzato, direi che in fondo non mi è andata mica male».
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