La vagina di Isabella Ferrari e il pene di Filippo Nigro, ripresi in primo piano dal regista bergamasco classe 69 Paolo Franchi, ieri in concorso con E la chiamano estate, non sono serviti a risollevare l'atmosfera di un festival di Roma per nulla choosy, quanto a cinema italiano. Neanche l'approccio parapornografico alle ammucchiate tra scambisti e alla gerontofilia, con «pissing» preteso; nemmeno il lato A e il lato B della Ferrari in cruda evidenza sono bastati a evitare l'ennesimo tonfo. Il terzo e ultimo film nazionale in passerella di fascia alta, costato un milione e mezzo di euro - 400mila provenienti dal Mibac, 80mila dalla Apulia Film commission e un non meglio identificabile budget dalla Regione Lazio, «né sappiamo se lo incasseremo», si preoccupa la produttrice di «Pavarotti International 23» Nicoletta Mantovani - è stato ribattezzato E lo chiamano film a metà proiezione. Tra risate a schermo aperto, battute ironiche, fischi e defezioni, all'Auditorium si è ripetuto il copione dei giorni scorsi: i nostri film vengono accolti male. E non per partito preso, anzi. Ma spiace la pretenziosità e l'arroganza mentale di chi, come Franchi, nel 2007 in concorso a Venezia con Nessuna qualità agli eroi, sperimenta sulla pelle dello spettatore la propria insipienza artistica. E ancor più sgomenta il criterio selettivo di chi ficca in serie A gli scarti di produzione.
Occasione sprecata, tra l'altro: sulla carta poteva funzionare la storia dell'anestesista Dino (Jean-Marc Barr) e dell'impiegata Anna (Isabella Ferrari), quarantenni alle prese con la loro irrisolta storia d'amore. Lui, troppo innamorato di lei per concludere a letto, va a letto con chiunque, prostitute comprese, e nel contempo vaga da un ex di Anna all'altro, cercando qualcuno che, finalmente, possa soddisfarla in vece sua. Tra questi ex-amanti figura anche Luca Argentero, che saggiamente manda quel disturbato impotente a farsi benedire. E lo stesso fa pure un padre di famiglia, che ex-abrupto, si sente dire da Dino: «Dài, una scopata non si nega a nessuno». Giù risate, a questo punto, ma l'andamento negativo s'era capito da quando, a inizio film, alcuni gridavano «Fuoco!». Quel bianco lattiginoso sparato sullo schermo era sfumato di suo, ma mentre Ken Loach, per esempio, gioca benissimo sull'effetto rough anni Settanta e si comprende che certa rozzezza è voluta, Franchi invece non maneggia i cromatismi a tale livello.
«Lo considero un film d'autore, anche se ho capito poco del copione. Mi sono buttata nel percorso per arrivare a fare questo ruolo», ha spiegato Isabella Ferrari, che da quando ha osato la sodomizzazione (forse) live di Caos calmo, con Nanni Moretti come partner, sembra abbia esperienza. «Mi si è chiesto di andare verso una performance e ho pensato al vuoto, alla morbidezza. Così le scene di nudo non mi hanno arrecato turbamento, per la prima volta in vita mia. Non ho avuto l'angoscia di posare senza costume», ribadisce Isabella, ieri catapultata da Sapore di sale a sapore di male, vista la reazione al film.
Nicoletta Mantovani, in tandem con Sonia Raule, altra signora-bene della scena artistica, che può contare sul peso di un marito influente (la prima è vedova di Pavarotti, la seconda è maritata con Franco Tatò), non si aspettava critiche dai giornalisti. «Mi sento come nella fossa dei leoni. A chi mi chiede se produrrò un altro film, rispondo che è come domandarmi, subito dopo il parto doloroso del primo figlio, se ne avrò un secondo», ha commentato la produttrice.
Ed Eva Riccobono, la modella palermitana con la sua fisicità altera? Qui fa la prostituta cocainomane, in faccia ha una cicatrice, sul cui bordo Dino passa biglietti da 50 euro, e zoppica: quando si dice lo sfregio. In una parte minore, pure Romina Carrisi, figlia di Al Bano. Per ora, tocchiamo con mano che il cinema italiano è al capolinea, se neanche la Ferrari ante-retro funziona più da specchietto per le allodole.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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