Giuria popolare superstar, come a Toronto. Un film, una scheda nell'urna di cartone all'uscita della sala, o un'app per i più tecnologici e via, al festival di Roma è andato in scena, per il primo dei suoi nove tormentati anni, lo stress-test d'una manifestazione che ancora non sa quali pesci pigliare. E che però segna un'inversione di tendenza: sono stati perlopiù i giovani a votare, app alla mano e twittando giudizi a schermo acceso. E sembrano cucite su misura dei ragazzi d'oggi le tematiche riconosciute come più interessanti: dalla disoccupazione al difficile rapporto con la famiglia, questi gli argomenti che più hanno inciso.
Comunque, resta il problema: festa in stile Unità, con panini alla porchetta, star bollite, ma di richiamo, commedie pop in apertura e chiusura, come in questa edizione? O festival con pretese di rassegna colta, passerelle di autori poco noti e per salotti buoni?
Nelle more del festaval, copyright del direttore uscente Marco Mueller, il ministro Franceschini fa sapere che per il decennale della kermesse, anno 2015, il Mibact entrerà stabilmente nella fondazione Cinema per Roma con un «riposizionamento strategico». Il (giovane) popolo sovrano, invece, che ha votato nelle cinque sezioni, dice che Trash , il bel film anglo-brasiliano di Stephen Daldry, nella sezione «Gala» ha convinto e commosso, vincendo il Premio del Pubblico BNL.
Se l'anno scorso le giurie togate premiarono il docufilm Tir , quest'anno le favelas e i quartieri più poveri di Rio tengono banco con un racconto di orgoglio e povertà.
Ancora un racconto scomodo, quello del cinese Xu Ang, premiato regista teatrale, qui autore di 12 Citizens , tocca gli animi con l'uccisione selvaggia d'un padre biologico, da parte di un giovane adottato: al sorprendente rifacimento de La parola ai giurati di Sidney Lumet, tocca il Premio del Pubblico/Cinema d'Oggi.
A riprova del fatto che le platee sono più avanti dei critici, sul podio della sezione «Mondo Genere» sale Haider , adattamento dell' Amleto di Shakespeare in salsa kashmir: firma quest'altro dramma sui conflitti familiari l'indiano Vishal Bhardwaj.
E gli italiani? Fino qui tutto bene , commedia amara che sarà nelle sale a gennaio del pisano (a dispetto del nome) Roan Johnson, notato al suo esordio con I primi della lista , porta a casa il Premio BNL/Fiction, confermando la tendenza del voto giovane, che premia i giovani autori e le loro storie. Qui, cinque ragazzi che hanno vissuto di cibi scotti e brevi amplessi, prendono strade diverse per diventare adulti. «Sono sorpreso, ma felice: segno che il pubblico comprende l'ironia su un tema così drammatico, come la fuga dei cervelli», commenta a caldo Roan, regista classe 1974 di stanza a Roma, che dedica il suo film «a chi continua a remare». Premio del Pubblico/Documentario, poi, per Francesco Giuseppe Raganato, che nel suo Looking for Kadja affronta gli aspetti più complessi della cultura nordafricana, focalizzandola tra il 1941 e il 1943, quando gli italiani vennero sconfitti dagli inglesi, tramite il resoconto d'un viaggio in Eritrea, Paese oggi quasi inaccessibile.
Premio TaoDue/Camera d'oro,infine, a Escobar: Paradise Lost di Andrea Di Stefano, biopic romanzato del narcos colombiano Pablo Escobar.
In quota disperazione metropolitana, Largo Baracche di Gaetano Di Vaio, sulla miseria napoletana, e Stazione Termini di Bartolomeo Pampaloni, sul degrado di Roma, portano a casa il Premio DOC/IT. Insomma: giovani, bravi e disoccupati.
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